martedì 15 novembre 2016

STAGE DI UNA GIORNATA SULL'ARCO NELLA STORIA, CON SCUOLA DI TIRO

Per i rievocatori l'inverno è periodo di studio e lavoro di manutenzione (e un poco anche di vacanza).
Per quei gruppi di rievocatori che sono interessati ad approfondire gli aspetti storici e pratici dell'arcieria antica, la Compagnia Bianca mette a d
isposizione le sue conoscenze ormai più che decennali.
Siamo in grado di tenere uno stage (con due o tre di noi) della durata di una giornata così strutturato:

a) la mattina conferenza con immagini e oggetti antichi ricostruiti sulla storia dell'arco
b) il pomeriggio scuola di tiro con archi in legno

Si consiglia una partecipazione da un minimo di 5 a non più di 15 persone. Tutta l'attrezzatura è a carico della Compagnia, luogo della conferenza e campo di tiro esclusi.


Per informazioni: www.compagniabianca.it, area Contatti





sabato 29 ottobre 2016

ISHI, IL SUO ARCO, LA CACCIA

da: ISHI UN UOMO TRA DUE MONDI, La storia dell’ultimo indiano Yahi, di Theodora Kroeber *, Jaka Book, 1985, pag. 168-175


dalla IV di copertina:
Nel 1849, anno della Corsa all’Oro, gli Yana della California settentrionale erano più di duemila. Ventun anni più tardi, nel 1871, erano praticamente scomparsi. Ne rimaneva soltanto una quindicina, della tribù Yahi, che dopo un tentativo di pace con l’invasore sparì completamente per vivere una singolare esistenza clandestina che durerà trentotto anni.
Il 10 novembre 1908 alcuni ingegneri, incaricati di studiare la possibilità della costruzione di una diga alla confluenza di due torrenti, scoprono per caso un villaggio indiano nascosto tra la fittissima boscaglia californiana e mettono in fuga i suoi quattro abitanti, gli ultimi Yahi sopravvissuti. Successivamente uno di loro, Ishi, continuerà a vivere da solo nella clandestinità più assoluta fino al 29 agosto 1911, giorno in cui, stremato e disperato, si consegna alla “civiltà”.
Sarebbe vissuto ancora cinque anni prima di morire, nel 1916, di tubercolosi.
Il caso ha voluto che in quei cinque anni due antropologi dell’Università di California, Kroeber e Waterman, abbiano potuto, con molta intelligenza, discrezione, rispetto e amicizia, studiare l’uomo che aveva fatto quel salto prodigioso dall’età della pietra alla civiltà tecnologica occidentale.
Quest’opera, la cui lettura è sconvolgente, è pervasa da una grande tristezza. E’ la testimonianza della conquista, del razzismo, della furberia, della crudeltà e delle occasioni mancate – tra cui quella di una convivenza tra indiani e bianchi. Si tratta di un libro scritto con molta intelligenza, competenza e tatto, un libro di coraggio, di saggezza e forse di speranza.


E’ un libro pubblicato nel 1961 scritto dall’antropologa che ha conosciuto e studiato, per cinque anni Ishi, morto nel 1916. Ne riportiamo alcune pagine.


………….le armi, i gesti e le tecniche di caccia di Ishi non avevano nulla in comune con quelli del moderno cacciatore. Oggi l’uomo caccia per puro divertimento e non ha un vero bisogno della preda; più di questa gli interessa invece provare brevemente e intensamente la soddisfazione di uccidere. Ishi cacciava per vivere, utilizzava ogni parte dell’animale ucciso e viveva a stretto contatto con la fauna, di cui aveva una profonda conoscenza. La mitologia degli Indiani d’America vuole che gli uomini, prima di essere tali, siano stati degli animali; in questo senso riconosce una continuità biologica tra la vita animale e l’uomo e insieme impone un sistema di credenze che impedisce di prendere la vita senza rispettarla.
L’arco non è un’arma che si possa affidare al primo venuto, come è invece il caso dei suoi moderni sostituti, il fucile e la pistola, e anche l’arciere esperto conosce l’importanza della “tecnica” e l’incidenza che questa ha sui risultati. C'è stato un periodo nella storia in cui l’arco era l’arma della guerra e della caccia in tutti i continenti e le isole abitate, con l’eccezione dell’Australia e delle isole della Polinesia. Diversi sono stati i materiali impiegati nella sua costruzione, le sue forme, il modo di tenerlo e di scoccare la freccia, ma dovunque questa difficile arte è stata tenuta in massimo conto, onorata e ricompensata. Sempre e dovunque la fabbricazione e l’utilizzazione dell’arco sono state circondate da rituali e tabù che vanno al di là della tecnica e delle regole effettivamente necessarie.
Gli Yahi non facevano eccezione. Al museo, i nuovi amici di Ishi impararono da lui a lanciare la freccia, lo osservarono fabbricare archi e frecce e cacciarono con lui. Ishi era un cacciatore formidabile: cacciava sempre da vicino, adescava la preda attirandola progressivamente con una ingegnosità e una pazienza infinite. Fu come cacciatore che Ishi mostrò la sua abilità di artigiano e artista. Al museo, cadendo a sua volta preda dell’ansia di sperimentazione scientifica, fabbricò e mise alla prova archi fabbricati con diversi tipi di legno; tuttavia il suo vero arco da caccia era invariabilmente di ginepro di montagna. Sceglieva anzitutto l’albero e successivamente il ramo da cui ottenere un nuovo arco. Dopo questa scelta ben ponderata, il ramo veniva tagliato e sgrossato. Ancora ben lontano dall’essere finito, l’arco possedeva già un alto e un basso, e Ishi, posandolo, rispettava queste parti e proprietà diverse: l’alto era la parte del ramo che si era trovata più vicina al tronco, mentre il basso era il lato del ramo rivolto verso l’esterno (qui, secondo me, c’è più di un errore di traduzione n.d.r.)
Ishi modellava l’arco a misura della persona che l’avrebbe usato: doveva esserci una certa proporzione tra l’altezza dell’arciere e la lunghezza dell’arma, e tra la grossezza della mano e lo spessore del legno. La lunghezza dell’arco doveva essere uguale alla distanza tra l’articolazione dell’anca destra e la punta del dito medio della mano sinistra, misurata con la persona in posizione eretta e con il braccio teso orizzontalmente in avanti. Nel caso di Ishi, questa distanza era di un metro e venticinque. Larghezza e spessore del legno dovevano essere maggiori ai due lati dell’impugnatura: la larghezza dell’arco era di quattro dita per armi potenti, e di tre dita per armi più leggere, destinate alla piccola selvaggina.
Assistere alla fabbricazione di un arco alla maniera di Ishi era fare un viaggio indietro nel tempo fino al neolitico, un neolitico però carico di toni yahi. Una volta sbozzato, il futuro arco veniva riposto a stagionare in un luogo dal calore e dall’umidità costanti. Per tutto questo tempo era mantenuto orizzontale. Appoggiato a terra, portato o in posizione di tiro, la priorità della parte alta dell’arco andava sempre rispettata, essendo la garanzia che la freccia avrebbe colpito il segno. Per la definitiva preparazione dell’arco si rendevano necessari tutti gli strumenti di Ishi, coltelli e raschietti di selce e di ossidiana. La pulitura definitiva si faceva con pietra arenaria. Gli archi di Ishi presentano una elegante linea curva alle estremità, di una tale simmetria che stupisce la semplicità del procedimento che permetteva di ottenerla; lavorava ciascuna estremità piegandola avanti e indietro sopra una pietra calda, finché il legno diventava cedevole; poi la premeva contro il ginocchio piegato, protetto con una pelle di cervo, e la teneva così premuta finché il legno tornava freddo. A questo punto la curva era definitiva.
Per rinforzare l’arco, Ishi si serviva dei lunghi tendini delle zampe posteriori del cervo: li sfilacciava, li macerava, li masticava in un processo lungo e faticoso. Quando i tendini erano diventati regolari e sottili come delle strisce di pergamena, li incollava sulla parte interna (forse esterna, n.d.r.) dell’arco, una striscia dopo l’altra, per aumentare la potenza e l’elasticità dell’arma. Quanto alla colla, la preparava facendo bollire della pelle di salmone. Per la corda dell’arco Ishi utilizzava i tendini più sottili delle zampe anteriori, che faceva passare tra i denti fino a quando acquistavano la sottigliezza di un filo di seta. Dalle fibre così ottenute fabbricava poi una corda.
Prima di ricevere la corda, l’arco veniva accuratamente lasciato seccare al sole per giorni e settimane, poi rifinito e levigato.
La corda veniva legata prima all’estremità alta dell’arco. Ecco come Pope descrisse la successiva operazione: “Seduto Ishi metteva l’estremità alta dell’arco dietro il tallone sinistro, la concavità dell’arco rivolta verso di lui; poggiava poi l’impugnatura contro il ginocchio destro e teneva nella mano sinistra la parte bassa dell’arco, ora rivolta all’insù. In questa posizione piagava l’arco e legava la corda all’estremità” (inferiore). Se l’esatto rapporto tra lunghezza, spessore e rinforzo era stato osservato, l’arma tesa al massimo descriveva un arco geometrico perfetto – l’ideale di Ishi – e sviluppava, quando al corda era tirata di sessanta centimetri, una spinta di venti chili.
Di solito Ishi si accontentava di avvolgere il suo arco in un pezzo di pelle, tuttavia riteneva che il miglior fodero fosse una coda di puma. Quando non lo usava, aveva sempre cura di stenderlo orizzontalmente, e di non lasciarlo mai in posizione verticale. In piedi, infatti, avrebbe continuato a lavorare, a sudare e a indebolirsi. Il modo di Ishi per verificare lo stato di un arco era quello di pizzicare la corda con le dita: se l’arco era in buone condizioni doveva rispondere con una nota alta e musicale. Una nota sorda e senza vita era segno che l’arco non era più buono o che era stato contaminato, forse dal tocco di una donna. Quando Ishi aveva ottenuto dal suo arco una nota chiara e musicale, spesso lo avvicinava alle labbra, e accarezzando la corda con le dita produceva un suono triste e melodioso con cui accompagnava un antico racconto yahi. Ishi amava il suo arco più di ogni altra cosa.
Per la fabbricazione delle frecce, Ishi preferiva a ogni altro legno i giovani e dritti steli del nocciolo. Come per l’arco, anche per le frecce bisognava rispettare sempre la posizione. Era sua abitudine fabbricare le frecce sempre in numero di cinque. Soltanto quando le cinque frecce erano terminate e messe a stagionare si poteva cominciare a lavorare a una nuova serie di cinque. La bacchetta di nocciolo veniva subito liberata della corteccia, poi, per togliere ogni irregolarità, Ishi la faceva rotolare avanti e indietro su delle pietre calde; successivamente la levigava accuratamente con dell’arenaria e le dava la definitiva lucidatura sfregandola contro una gamba, una tecnica, questa, che ricorda la lucidatura a meno degli ebanisti, in cui l’umore che trasuda dalla pelle penetra nel legno nel corso della frizione.
Anche le frecce erano fatte su misura: la loro lunghezza doveva essere uguale alla distanza che separa la base dello sterno dalla punta dell’indice sinistro quando il braccio è in posizione di tiro, parallelo alla freccia – settantacinque centimetri per Ishi.
A volte, ma non sempre, Ishi utilizzava per la parte anteriore della freccia un legno più pesante, della lunghezza di una ventina di centimetri. Per unire insieme le due parti di questo tipo do freccia si serviva di un pezzo d’osso appuntito che metteva per terra, la punta in alto, tenendolo fermo con i piedi. Prendeva poi l’asta principale della freccia e, tenendola verticalmente, la faceva ruotare con le palme delle mani sopra l’osso acuminato finché non riusciva a praticare un buco di tre o quattro centimetri di profondità. A questo punto prendeva la seconda asta e ne affilava una estremità, fino a ricavare un perno che infilava nel buco dell’asta principale, fissandolo con resina o colla.
Ishi decorava abitualmente le sue frecce usando un motivo circolare bicolore, ma il suo interesse era più rivolto all’impennaggio che alla decorazione. Le penne preferite erano quelle dell’aquila, ma adoperava abitualmente anche quelle di poiana, di ghiandaia azzurra e di altri uccelli. Montava le penne in numero di tre, e tutte dovevano provenire dalla stessa ala, secondo un’usanza osservata dovunque dai buoni arcieri. L’angolo delle penne con l’asta è fondamentale per la traiettoria della freccia. Ishi montava le penne ad angolo acuto rispetto al senso longitudinale della freccia, non le fissava mai esattamente perpendicolari. Questo metodo, che è il più diffuso, favorisce la precisione di tiro dalla breve distanza, permette alla freccia di ruotare meglio e le assicura una migliore penetrazione, sebbene, ma questo a Ishi interessava meno, la velocità e la distanza ne risultino sacrificate.
La faretra usata da Ishi, e che gli fu portata via a Wowunupo il giorno in cui il villaggio fu scoperto, è ora visibile nel museo. Ricavata dalla pelle intera di una lontra, con il pelo all’esterno, è abbastanza grande da ospitare l’arco insieme alle frecce. Ishi se la gettava su una spalla e la lasciava penzolare dietro la schiena.
Con una semplice striscia di pelle legata intorno alla vita, l’arco e le frecce nella faretra sulla schiena, Ishi lasciava l’accampamento o il villaggio e andava a caccia. Si muoveva tra la boscaglia senza far rumore, finché raggiungeva una radura che gli sembrava adatta allo scopo. Qui si fermava, toglieva l’arco dalla faretra e si assicurava che la corda fosse ben tesa e annodata al legno, perché l’arco doveva essere sempre pronto. Prendeva poi alcune frecce e le metteva sotto l’ascella destra, in modo che fossero a portata di mano ma non lo ostacolassero nel tiro. Se udiva il rumore o sentiva l’odore di qualche animale, si nascondeva al riparo di una roccia o di un arbusto. Se necessario, sapeva attendere intere ore: non lasciava mai una preda individuata o sospettata per un’altra, magari più grossa e sicura. Da buon cacciatore, doveva riuscire a individuare la preda prima che questa si accorgesse di lui, e i suoi sensi, vista, udito e odorato, contribuivano tutti a dargli questo iniziale vantaggio.
Avvertita la presenza di un coniglio, se ne stava nascosto, e con due dita premute contro le labbra emetteva degli schiocchi leggeri, simili a dei baci: il delicato suono lamentoso del coniglio in difficoltà. Inevitabilmente qualche coniglio si avvicinava, rispondendo al richiamo, ma il cacciatore faceva bene a prepararsi a incontri più pericolosi. Talvolta all’invitante richiamo rispondevano un gatto selvatico, un puma, un coyote o un orso. Il repertorio di Ishi comprendeva vari richiami, quello della quaglia e dello scoiattolo grigio, il grido dell’oca selvatica e quello di molti altri uccelli e animali. A volte colpiva prede piccole da una distanza molto ravvicinata – un coniglio da quattro i cinque metri – ma sapeva essere preciso anche su distanze maggiori, anche di quaranta metri; tirava agli uccelli on volo e agli animali in fuga, tuttavia preferiva il colpo a breve distanza e quando l’animale era immobile. Era sempre molto attento a restare sottovento rispetto alla preda, e data la silenziosità dell’arco, gli animali non si mettevano in allarme nemmeno quando una freccia non li mancava di poco. Con le sue imitazioni dei loro versi li attirava verso di sé, suscitando il loro interesse o la loro curiosità, facendone in questo modo dei comodi bersagli. La curiosità degli uccelli e dei mammiferi, che i cacciatori primitivi sanno sfruttare a loro vantaggio, non può essere di aiuto al cacciatore moderno armato di fucile: lo sparo, infatti, incute negli animali un terrore che paralizza ogni altra reazione o emozione. Ishi, e come lui tutti gli arcieri solitari, non introduceva nessun elemento estraneo nell’ambiente naturale, essendo un possibile nemico tra gli altri, come la moffetta è nemica della quaglia, il coyote del coniglio e il puma del cervo.
Ishi maneggiava sempre il suo arco con rispetto e solennità, e non cacciava mai alla leggera; per la caccia al cervo aveva poi un preciso rituale. Durante il giorno e la notte precedenti la caccia al cervo non mangiava pesce e non prendeva tabacco; quando era possibile estendeva il periodo di astensione a tre giorni e tre notti. Naturalmente in un villaggio yahi si sarebbe astenuto anche dai rapporti sessuali.
Il mattino del giorno fissato per la caccia si lavava tutto, nella sua vecchia casa avrebbe fatto un bagno di sudore, si puliva con cura la bocca e si metteva in cammino senza mangiare: avrebbe mangiato sola alla fine della giornata. Lungo le braccia e le gambe incideva con una scheggia affilata di ossidiana delle nuove, leggere scarificazioni per accrescere la forza degli arti. In tutto il cerimoniale di preparazione distinguiamo due motivi: quello pratico, volto a ridurre al minimo l’odore dell’uomo in modo da non insospettire la preda, e quello magico-morale, che cerca di incanalare la libido e di rivolgerla interamente alla caccia.
Solo o in compagnia, Ishi preferiva la tattica dell’adescamento e dell’imboscata a quella dell'inseguimento. Accovacciato dietro un riparo artificiale di rocce, dietro o in mezzo a un cespuglio vicino al luogo dove aveva intuito o sentito la presenza del cervo, aspettava. Aspirando aria tra una foglia di alloro piegata in due tra le labbra, poteva imitare il lamento di un cerbiatto ed essere sicuro di attirare in questo modo qualche cerva preoccupata per il suo piccolo. Oppure poteva coprirsi il capo con una testa di cervo impagliata, con dei rami a suggerire le corna. Muovendo la testa al di sopra dello schermo di pietre o di arbusti, piegandola di lato, simulava il quieto brucare di un cervo. Era certo, in questo modo, di attirare a pochi passi un altro cervo, o una cerva. Forse il nuovo venuto cadeva nell’inganno ritenendo di trovarsi di fronte a un animale della sua stessa specie, o forse la sua curiosità lo spingeva verso quella nuova, strana creatura della foresta. In ogni caso si mostrava interessato e incuriosito, cauto ma mai impaurito. Ishi aveva tutto l’agio di tirare, di mancare anche un colpo o due prima che il cervo si allarmasse.
Un uomo solo armato semplicemente di arco e frecce non va a caccia con l’idea di stanare un orso grizzly. Gli Yahi cacciavano il grizzly solo quando quest’ultimo era in letargo, e in numero sufficiente a circondarlo di arbusti infuocati prima del suo totale risveglio. Anche in questo caso, soltanto un colpo molto ravvicinato poteva essere mortale. Di preferenza miravano alla bocca aperta, lanciando frecce dalla punta piccola e molto aguzza, adatte a provocare emorragia. Se l’orso attaccava, l’uomo cercava di difendersi brandendo un fascio di sterpi infuocati, mentre i compagni stringevano il cerchio per meglio scoccare le loro frecce. Dalle descrizioni dei cacciatori, bianchi o yahi, sembra proprio che la caccia al grizzly somigli molto a una corrida, nel senso che la morte sopraggiunge dopo che l’orso è stato indebolito dalla fatica e dalla perdita di sangue. Sappiamo che Ishi uccise da solo almeno un orso bruno – chiamato anche orso nero nell’Ovest. Non ne parlò mai diffusamente, ma è chiaro che era stato caricato dall’orso. Per fortuna, prima che l’animale gli fosse addosso, Ischi ebbe modo di tirare una freccia e lo colpì nella regione del cuore. Per il colpo di grazia usò una corta lancia dalla punta di ossidiana, che di solito teneva a portata di mano appesa alla cintura o infilata nella fascia che gli copriva la vita. La pelle dell’orso ucciso da Ishi contribuì a tenere lui e i suoi compagni al caldo a Wowunupo, prima del saccheggio del villaggio; curiosamente, quella stessa pelle fu donata al museo qualche anno dopo.
Per l’appassionato di tiro con l’arco, una delle cose più interessanti di Ishi era la sua tecnica di tiro. Oggi un buon arciere conosce le tecniche classiche, i diversi tipi di arco e i modi di scoccare la freccia che si sono usati nel corso della storia. Questi dettagli tecnici richiedono una terminologia particolare e ostica per chi non è del mestiere, e in questo caso una fotografia vale più di molte parole. Comunque, una delle principali caratteristiche della tecnica di Ishi era che preferiva tirare da posizione accovacciata. Era un’usanza tribale direttamente legata alla pratica di caccia degli Yana: un cacciatore accovacciato, nascosto dietro un riparo spesso insufficiente, aveva poche probabilità di fare centro se, dopo aver adescato la preda, doveva alzarsi in piedi per tirare. La posizione accovacciata non era un ostacolo quando si usava un arco non più grande di quello di Ishi, e quando lo si teneva come faceva lui, diagonale rispetto al corpo, la parte alta piegata verso sinistra, la corda tirata all’altezza della guancia. Un’altra, insolita caratteristica di Ishi era che, nell’istante in cui la freccia veniva scoccata, le dita della mano sinistra allentavano la stretta e permettevano all’arco di ruotare su se stesso all’interno della mano. Questa tecnica richiede una presa ferma ma nello stesso tempo leggera, in modo che l’arco non scappi di mano, ma che nulla impedisca il suo movimento. Questo movimento può essere paragonato al “follow-through” dove, colpita la palla, il tennista perfeziona il colpo con un movimento largo e leggero, oppure al completamento della traiettoria ad arco compiuta da una mazza da golf dopo il colpo, mentre il golfista ruota sul piede d’appoggio.
Anche la tecnica con cui Ishi tendeva la corda e scoccava la freccia aveva una curiosa particolarità: era diversa da tutte le altre tecniche di tiro, e a tutt’oggi rimane unica nella letteratura specialistica. Si trattava apparentemente di una variante yahi, o meglio yana, della tecnica di tiro mongolica o asiatica, una delle cinque grandi tecniche conosciute, ma che non era mai stata segnalata tra gli Indiani d’America. La tecnica mongolica si usa generalmente con l’arco composito e presuppone l’uso di un anello per il pollice; infatti è il pollice piegato che tende la corda, e le altre dita servono solo a tenere e guidare la freccia. Ishi non usava anello né altra protezione per il pollice, e il suo arco non era composito ma semplice.
Dopo una prolungata esercitazione al tiro al bersaglio, il pollice si gonfiava e gli faceva male, ma questo non accadeva mai durante la caccia. Ishi tendeva l’arco con il pollice destro piegato come nella classica tecnica mongolica; la variazione yana stava nella posizione di un dito: la punta del medio veniva appoggiata contro l’unghia del pollice in modo da rafforzarne la presa.
A questo punto si pone il problema del perché gli Yana usassero il loro arco semplice con una tecnica diversa dagli altri arcieri e che, caso unico in America, era una variante della tecnica mongolica. Non conosciamo la risposta, possiamo solo ipotizzare che lasciando l’Asia nel corso di una lunga serie di migrazioni ormai dimenticate, gli antenati di Ishi portarono con sé l’arco semplice che avevano imparato a tendere con il pollice, in un’epoca in cui l’arco composito e l’anello per la protezione del pollice non erano ancora stati inventati. Questa ricostruzione storica ci riporta alla preistoria, e presuppone una lingua di terra tra l’Asia e l’America. E’ soltanto un’ipotesi e nulla più, ma conferma quello che già sappiamo degli Yana e che anche una analisi della lingua di Ishi lascia intendere: questo popolo aveva delle radici molto antiche.


* Theodora Kroeber è la moglie del celebre antropologo statunitense Alfred, autore fra le altre opere del Manuale degli indiani di California (1925). Quando Ishi venne affidato ad Alfred Kroeber e a T. Waterman, del Museo di Antropologia dell’Università di California, ella si trovò a seguirne e conoscerne da vicino, attraverso il racconto del marito, la storia. Questo libro, per la cui stesura sono stati ampiamente utilizzati documenti e fonti in possesso dell’Università, assolve nelle intenzioni dell’autrice e dei membri del dipartimento di antropologia che l’incoraggiarono a sciverlo, al compito di fissare la memoria di una vita grande e tragica.







lunedì 12 settembre 2016

L’arco da guerra nel Medioevo e il progetto MBA

Per più di ventimila anni l’arco e le frecce sono stati presenti nello scenario antropologico. Originariamente nate per la caccia con l’avvento della sostanzialità umana al termine dell’ultima glaciazione diventano arma da guerra a difesa della proprietà privata e principalmente destinata alla sopraffazione.
Il colpire a distanza rappresenta la qualità adattativa per eccellenza della specie umana e l’arco e le frecce sono l’ultima espressione dopo il sasso scagliato, la lancia e il propulsore. Solo dopo l’adozione della polvere da sparo per uso bellico, avvenuta in Occidente intorno alla fine del quattordicesimo secolo, lentamente fu abbandonata, per rinascere di popolarità come “attività di svago” dei nobili e infine come sport verso la fine del ‘700.
Si realizzò così il suo mutamento d’uso, di costume, di finalità e nacque lo sport del tiro con l’arco. Il suo primo riconoscimento olimpico avvenne nel 1900, anche se le regole di gara oggi adottate hanno avuto piena legittimazione dalle Olimpiadi del 1972.
Naturalmente la tecnica di tiro si modificò in modo sostanziale da quella antica adattandosi alla necessità unica di “colpire un bersaglio di paglia” con precisione. Esempio calzante, in quest’ambito può essere desunto dal “peso” di trazione degli archi antichi rispetto a quelli moderni. Oggi, nello sport del tiro con l’arco difficilmente gli archi sono di carico superiore ai 20 kg; lo sforzo di trazione al massimo allungo (quando la freccia sta per essere scoccata) nel medioevo superava i 40 kg e arrivava anche oltre i 70. Inoltre, anticamente non si usavano congegni di mira e le frecce erano molto più pesanti di quelle utilizzate oggi nei percorsi di gara.
In termini generali il tiro con l’arco contemporaneo incentra la sua attenzione sullo sfruttamento estensivo dell’attrezzatura (con le relative derive consumistiche), sulla sua sofisticazione e sull’esclusiva ricerca dell’estrema precisione. Gli archi sono sempre più facili da tendere, le frecce sempre più leggere, i mirini, gli stabilizzatori e gli altri “aiuti” ne snaturano la sua essenza, livellano le prestazioni; si esaspera lo spirito competitivo nelle gare riducendone la spettacolarità. Il bersaglio è visto come qualcosa di statico in cui esiste un “centro” da colpire, la cui grandezza è funzione dalla distanza di tiro per via della parabola che la freccia deve compiere. Un suo ruolo totalmente passivo in cui la creatività, l’ambientazione e la necessaria adattabilità dell’uomo spesso non trova posto.
Nei tempi antichi la componente umana giocava un ruolo molto più importante, soprattutto perché le doti necessarie per raggiungere lo scopo dovevano formarsi in modo graduale e adattativo alle circostanze, spesso questioni di vita o di morte. L’attrezzatura era semplice e funzionale, il più della volte auto-costruita. Testimonianze etnografiche ci tramandano immagini importanti, popoli che ancora oggi vivono di caccia e raccolta e utilizzano l’arco esattamente come nel medioevo; con molta probabilità anche nella preistoria si tirava con l’arco nello stesso modo.
Gli studi archeologici sui reperti e le ricostruzioni basate sui processi sperimentali ci riportano libbraggi molto alti. Nell’Alto medioevo (archi della nave di Nydam) 40 – 45 kg di carico sono comuni. Nel Basso medioevo (archi ritrovati nel relitto del Mary Rose) 60 – 75 kg di carico sono la maggioranza. Non si pensi, riduttivamente, che i nostri antenati medievali fossero tutti erculei. Sicuramente erano allenati di più, sottoposti a duro addestramento anche, ma in base ai recenti studi appare come la tecnica di trazione fosse completamente diversa, più simmetrica ed ergonomica, in grado di agevolarla.
MBA! Project
My Bow, Awake! – Ancient Archery Practices in Contemporary Cultural and Recreational Activities
Progetto di ArcoUISP in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia – Laboratorio LAMS, English Warbow Society, patrocinato da EURAC Research – Bolzano.
Il Gruppo di Lavoro MBA: Vittorio Brizzi (ArcoUISP, coordinamento), Andrea Biscarini (Direttore Laboratorio LAMS – Università degli Studi di Perugia), Samuele Contemori e Daniele Busti (Laboratorio LAMS – Università degli Studi di Perugia ), Matteo Lucaroni (Università degli Studi di Perugia, ArcoUISP), Gionata Brovelli (Formatore Arco Storico ArcouiSP), Mark Stretton (English Warbow Society), David Pim (English Warbow Society), Luigi Caramante (Responsabile Sett. Storico ArcoUISP), Lorenzo Carlo Maria Galantini (Formatore Arco Storico ArcoUiSP), Riccardo Fiacca (Delegato Umbria ArcoUISP), Sara Iacopini (Tecnico Educatore ArcoUISP), Luca Ricci, Marco Dubini (ArcoUISP).
Riportiamo un breve testo in inglese che rende bene l’idea di cosa doveva essere, nella mentalità medievale, un potente arco da guerra in legno e che sta ad introduzione del documento UISP che illustra il progetto:
“In My time, my poor father was as diligent to teach me to shoot, as to learn me any others thing; and so I think other men did their children: He taught me how to draw, how to lay my body in my bow, and not to draw with strenght of arms as other nations do, but with strenght of the body: I had my bows bought me according to my age and strenght; as I increased in them, so my bows were made bigger and bigger, form men never shoot well, except they be brought up in it.” Hugh Latimer, sixth sermon, 1549
“Ai miei tempi il mio povero papà mi ha diligentemente insegnato a tirare con l’arco come mi ha insegnato il resto e così altri uomini coi loro figli. Mi ha insegnato ad aprire e a distendere il mio corpo nell’arco e a non aprirlo con la forza delle braccia, come fanno nelle altre nazioni, ma con la forza del mio corpo. Ho avuto archi che si accordavano con la mia età e la mia forza e, quando miglioravo, gli archi crescevano, perché gli uomini non tireranno mai bene se non ci crescono dentro”.
Parallelamente a questo progetto è stata prodotta e già discussa una tesi di Laurea (il 22/7 scorso) presso l’Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Medicina, Corso di Laurea in “Scienze e Tecniche dello Sport (LM68)” dal titolo: “Tirare storicamente con l’arco: dalle basi antiche alle moderne analisi scientifiche per una “nuova” proposta sportiva”. Di Matteo Lucaroni, relatore Prof. Andrea Biscarini.
Qui parleremo quasi esclusivamente delle tematiche affrontate e relative all’arco da guerra medievale (noto come longbow) nelle sue implicazioni sia storiche che “fisiologiche”.

Il progetto

Il progetto ha l’obiettivo di dare origine a una nuova attività culturale ludico sportiva in UISP con caratteristiche complementari rispetto alle attuali discipline sportive del tiro con l’arco, ispirandosi alla sostanza del tiro storico antico. Questo progetto vuole definire una cornice di riferimento in cui sia possibile evidenziare le “differenze” tra lo stile moderno e quello medievale per aggiungere nuove (antiche) consapevolezze all’attività sportiva e ludico ricreativa di oggi.
Ciò è avvenuto compiendo una ricerca accurata (fase 1) sulle documentazioni antiche esistenti; ricorrendo in primis allo studio ermeneutico delle iconografie per evidenziare, su base statistica, differenze evidenti di postura tra gli arcieri di ogni genere raffigurati (in battaglia, nei martirii, in caccia e nelle rappresentazioni allegoriche) e quelli d’esempio nelle scuole contemporanee. E’ stata inoltre avviata l’analisi e l’ interpretazione dei rari scritti antichi, a conferma dell’interpretazione delle informazioni visive.
Successivamente (fase 2), attraverso prove di tiro effettuate in laboratorio tra soggetti in grado di tendere l’arco nel “modo antico” (top level) e soggetti di confronto in grado di tendere e scoccare sia in modo antico sia moderno, si è cercato di evidenziare il diverso sfruttamento dei muscoli impiegati nell’atto di tendere e rilasciare la freccia relativamente alla postura (equilibrio).
I test di laboratorio EMG, unitamente al test MVC hanno dimostrato innanzi tutto il grado di simmetria nello sfruttamento dei muscoli dorsali, e l’impiego di muscoli “dormienti” nello stile moderno. Il test con le telecamere cinetiche ha evidenziato gli spostamenti delle articolazioni nelle braccia, del tronco e nella testa durante l’azione del tiro. Le informazioni sui soggetti saranno simultanee e permetteranno di individuare nello stesso istante la variazione dell’equilibrio, il potenziale elettrico nel determinato muscolo e attivazione dei vari distretti e l’atto cinetico corrispondente. L’analisi bibliografica delle pubblicazioni antropologiche sulle analisi sui reperti ossei degli arcieri antichi alto e tardo medievali saranno molto utili per validare i risultati dei test di laboratorio (grado di simmetria nelle usure delle articolazioni e nelle inserzioni dei tendini sulle ossa del tronco).
La semplice osservazione di come si possano tendere archi così forti induce a considerare un miglior sfruttamento del cingolo scapolare e quindi un’ottimizzazione della forza muscolare, argomento utile per porre le basi a una “nuova scuola” adatta anche ai giovani senza differenze di genere.
In questa scuola rinnovata sarà d’obbligo definire una schematizzazione per un processo di apprendimento che tenga in dovuto conto degli aspetti a rischio per la prevenzione di traumi sulle articolazioni, sui muscoli e sui tendini e, contemporaneamente, definire una procedura di potenziamento graduale, parte integrante del progetto per chi si vorrà calare integralmente nell’uso del Warbow (1).

Fase 1:  Ricerca esegetica sui testi antichi e interpretazione delle iconografie

I Testi

In Medio Oriente si sviluppa una bibliografia molto ricca, sia sulla tattica militare che sulla tecnica di tiro e sull’addestramento. Numerosi trattati (2) sulla tecnica menzionano gli obiettivi che si devono porre gli arcieri nel loro apprendimento e addestramento, identificandoli nei quattro “pilastri” (Arkàn): potenza, velocità, destrezza e precisione. Gli allenamenti sono codificati nel tempo, l’arciere rappresenta la “summa” delle abilità e delle virtù guerriere. Nell’Estremo Oriente la Cina influenza la cultura giapponese dove l’arco raggiunge l’apice della complessità nel Samurai.
La tecnica arriva ad oggi praticamente immutata da 2000 anni, alcune scuole (ad es. la Heki Ryu Insai) ancora applicano ciò che è scritto sui testi di molti secoli fa. Del resto, lo studio biomeccanico a cui faremo riferimento nella fase 2 si riferisce ad un’analisi accurata che rivela similitudini con lo “stile” da noi proposto nel tiro occidentale medievale; entrambi provengono da epoche in cui l’arco e la freccia avevano una loro precisa destinazione, che non era certo fare centro ad un bersaglio immobile.
L’uso dell’arco in guerra è rappresentato quindi da uno spartiacque culturale che allontana l’emisfero occidentale da quello orientale, nel quale diverse sono le visioni dell’arma, e di conseguenza diverse le collocazioni sociali di chi la impugna; in comune vi è solo lo scopo finale e la dinamica fisica del lancio della freccia. Alle radici di questa similitudine vi è il fondamento della tecnica, necessaria per tendere archi forti e colpire efficacemente il bersaglio, abbattendolo. La funzione tattica dell’arciere in Occidente, si esplica soprattutto nel “fuoco d’artiglieria” della nuvola di frecce che colpisce in maniera indifferenziata a distanza la controparte armata mentre questa si scontra in campo aperto, assale il villaggio e le prime fortificazioni. In epoca Bizantina, quando l’impero romano d’Oriente cerca di ripristinare da Costantinopoli i fasti e i poteri della tradizione occidentale ormai compromessa dalle invasioni barbariche, gli arcieri assumono comunque sempre più importanza e sono scritti i primi trattati. Anche se in lingua greca o latina, è evidente l’influsso della cultura e soprattutto della visione militare orientale (3).
Nel Medioevo europeo la caccia assume in Occidente altre valenze, che paradossalmente riaffermano la componente simbolica del cacciatore-leader con i suoi privilegi, anche se con altre vesti culturali a cui corrispondono modi e tecniche diversificate. L’arco permane e si sviluppa “socialmente”, soprattutto in Oriente. È interessante notare come in tutta la cultura medio ed estremo orientale si sia sviluppata, nel corso di un millennio, una così vasta bibliografia che non ha paragone con il progressivo sviluppo “letterario” sull’arcieria d’occidente (4). D’altro canto, la connotazione dell’arciere in guerra (in Europa) pare fosse delle più misere: persone reclutate e addestrate in giovane età tra poveri e analfabeti, contrariamente all’Oriente la cui tradizione, consolidata da millenni di storia, vedeva arcieri nobili e cavalieri o comunque soldati specializzati di cui rango e cultura erano superiori agli altri combattenti meno specializzati. Grazie alla sua grande versatilità, l’arco restò in uso nelle battaglie campali e negli assedi fino a quando la tecnologia delle armi da fuoco divenne maggiormente diffusa. Dal 1300 al 1800 circa, le armi da fuoco convissero con l’arco, poiché l’elevato costo di produzione e l’elevato potere distruttivo delle prime, furono compensati dall’economicità, dalla maggiore maneggevolezza e dalla facilità di addestrare del secondo.
La tecnica dell’arco da guerra scomparve completamente per una specifica versione “da diporto”, raffinatasi nei giorni attuali in parallelo con la tecnologia costruttiva di archi e frecce.

L’iconografia

Il tiro medievale si faceva con tre dita (presa mediterranea) per sfruttare al massimo la forza fisica. Tirare con due dita (presa fiamminga) permette una presa meno solida e prestazioni inferiori. Talvolta però nei quadri e nei disegni d’epoca si vedono arcieri in pose da guerra che usano solo 2 dita nell’atto di tirare con l’arco: probabilmente perché i pittori hanno assistito ad esibizioni con archi più leggeri, equivocando il gesto reale. La ricerca è stata effettuata su un campione di 190 immagini di arcieri che spaziano dal VIII sec. al XVI sec. Per “arcieri” si considerano elementi validi quelli che stanno caricando l’arco (4%), che stanno effettuando il rilascio della freccia (23%) e tendendo l’arco con la freccia armata (74%). Le opere riguardano ambienti di Caccia (9%), Battaglia (70%), Martirio (8%), Allegorie (7%) e scene di tiro decontestualizzate (4%). I soggetti si suddividono tra uomini (81%) donne (6%) e mostriciattoli o animali antropomorfi (13%). La scelta delle immagini è stata operata in funzione di un parametro essenziale, l’attendibilità dell’interpretazione artistica desumibile dalla correttezza dei particolari contenuti (vestiario e accessori in generale e riproduzioni delle armi in particolare) dando un “coefficiente” da 1 a 3 ad ogni soggetto del campione. Non è stato valutato, per contro, il rapporto tra le proporzioni dei soggetti e lo “scenario generale” nonché le distanze lineari tra soggetti e “bersagli” cercando di estrarre l’essenza dell’atto che veniva immortalato. La maggior parte delle illustrazioni di battaglie, ad esempio, è molto esplicativa. Nei dipinti tardo quattrocenteschi molto spesso viene raffigurato l’ arciere che tende l’arco composito, di chiara ispirazione medio orientale. D’altro canto è ben noto di come la cultura bizantina prima, quella delle Crociate e quell’Ottomana poi abbiano influenzato gli eserciti di mezza Europa. Lo stile di tiro, la postura ecc. comunque risulta pressoché la medesima. Essa si suddivide tra postura in fase di rilascio (rilevante per la parte “A” della ricerca, 23% delle immagini) e posture ove l’arciere è in fase di trazione (rilevante per la parte “B” della ricerca, 74% delle immagini). Inoltre sono state analizzate le scarse immagini che riportano la fase di caricamento, solo 4%.

Fase 2: esperimenti di laboratorio

La fase si è svolta presso il Laboratorio delle Attività Motorie e Sportive (LAMS) della Facoltà di medicina/scienze motorie – Università di Perugia (Direttore prof Andra Biscarini).

Obiettivi della ricerca

Dalle analisi delle antiche iconografie, dei testi orientali e occidentali e dai ritrovamenti archeologici appare evidente un modo di tirare con l’arco estraneo ai concetti ora utilizzati nella didattica e nell’attività sportiva del tiro con l’arco moderno. Lo stile di tiro antico permetteva di tendere archi estremamente forti (almeno 3 o 4 volte più forti di quelli odierni) al fine di fermare il nemico corazzato in battaglia.

Obiettivo principale

Analizzare la catena cinetica dei soggetti esperti nello stile antico per determinare le differenze con lo stile moderno e la ripartizione dello sforzo nei muscoli del tronco.

Obiettivi secondari ma altrettanto importanti

Giungere ad una comprensione integrale delle componenti muscolari, cinetiche e posturali antiche al fine di proporre una nuova interpretazione dell’uso dell’arco, anche se non necessariamente di forte carico per elaborare la traccia di una “nuova” tecnica dedicata di allenamento e potenziamento.

Soggetti coinvolti nella sperimentazione

1) Arcieri esperti, da Italia e Inghilterra, da analizzare nel loro stile antico.
2) Arcieri di medio livello nello stile antico e di discreto livello nello stile moderno, in modo da fungere da “soggetti di controllo”, da analizzare in entrambi gli stili di tiro con archi cui sono normalmente abituati, di basso carico.

Strumentazione
a) Pedane dinamometriche per lo studio dell’equilibrio nella postura (interfacciate con gli altri sistemi)
b) 6 Telecamere per la ricostruzione 3D dell’azione dinamica con marker (interfacciate con gli altri sistemi)
c) Apparecchiature per EMG (a disposizione 18 elettrodi) (interfacciate con gli altri sistemi)
d) Telecamera ad alta velocità (1000 Hz, non interfacciabile)
e) Accelerometro (non interfacciabile)
f) Misuratore di velocità per la freccia all’uscita dall’arco

Ipotesi di lavoro

I muscoli presi in esame sono 8 mentre i marker rifrangenti usati sono 15.
La videocamera ad alta velocità ha una frequenza di campionamento di 500 frames al secondo.
Inoltre il suddetto protocollo prevede, per il gruppo di arcieri “medium level” l’uso di 2 archi di cui è standardizzato il carico finale, ovvero archi di diverso libraggio, ma tra di loro non molto scostanti che abbiano lo stesso carico agli allunghi di riferimento (ipotesi carico di 60 lb a 28 pollici di allungo e a 32 pollici di allungo). Per gli arcieri “top level” invece, usare ognuno il proprio arco.
Nello specifico è richiesto l’uso della tecnica di tiro “moderna” e “medievale” per il gruppo “medium level”, mentre per gli arcieri “top level” l’uso della sola tecnica “medievale”.
I test hanno riguardato due aspetti specifici: caricamento dell’arco (A) e rilascio della freccia (B) in entrambe le categorie di soggetti “campione”. Il gruppo 1) si è espresso sullo stile antico, con piccole variazioni personali ma sostanzialmente aventi in comune la fase di tensione, rilascio e postura. Il gruppo 2), avendo la possibilità di interpretare il tiro in due modi, è stato analizzato in termini comparativi, basandosi contemporaneamente sui protocolli adottati nelle pubblicazioni contemporanee riguardanti il tiro olimpico. I tracciati risultanti (EMG e Dinamometrico) differiscono tra loro sostanzialmente. Sono stati preliminarmente esaminati gli archi (diagramma di carico) e le frecce (massa) di tutti i soggetti impiegati nella sperimentazione.
Sia per il punto (A) che per il punto (B) è stata fondamentale l’oggettiva misurazione della lunghezza di trazione. Non potendo utilizzare un moderno “clicker” , sono state considerate quelle frecce scagliate al di sopra di una soglia minima predefinita di velocità, di conseguenza sono state considerate utili al risultato le misurazioni ottenute con la strumentazione biomeccanica nello specifico.

Bibliografia
Al-Asrafi Al-Baklamisi Al-Yunani Taybogha, XIV secolo, Mss. Paris 2833, Gunyat al-tullab fi ma’rifat al ramy bi al-nussab Br.Mus.1464., Gotha 1341,2 dal titolo (Regole essenziali dell’arcieria per i principianti);
Amodio F., Gallozzi C. 1992. Aspetti fisiologici del tiro con l’arco. Roma: FITARCO Editore;
Anon, Ca. 1515 The Art of Archery, Edited by Henri Gallice, Translation by H. Walrond, 1901.
Ascham, Roger 1545 Toxophilus, The fchole of fhootinghe conteyned in tvvo bookes
Brizzi V., (2007) Man The Hunter, Arcosophia, Greentime Eds
Calvin, W. H.1991, The Ascent of Mind, Backprint.com, Lincoln NE
Casorati G. C. 2002. Storia della moderna arcieria italiana e mondiale. Bologna: Greentime Editore;
Dal Monte A. 1983. La valutazione funzionale dell’atleta. Firenze: G. C. Sansoni Editore;
Faris A. N., Elmer R. P., 1945, Arab archery. An Arabic manuscript of about A.D. 1500, A book on the excellence of the bow and arrow” and the description thereof, (Kitab fi bayan fadl al-qaws w-alsahm) Princeton
Fitz-Rauf, J. 2010, War Archery and Social Status, R.C.A., R.C.Y.
Ford, H. 1859. Archery, its theory and practice, , 2nd Edition,
Hanson, V.D., 2001, L’Arte Occidentale della Guerra, Biblioteca Storica de Il Giornale n.6
Hargrove, E. 1792 Anecdotes of Archery From the earlieft ages to the year 1791
Ibn ‘Ali Al-Tarsusi, 1200 c.a., Tabsirat arbab al-albab… (“Spiegazione per lo spirito sul modo di disporsi durante il combattimento…..”),
Lake, F. H., 1974). A bibliography of archery: an indexed catalogue of 5,000 articles, books, films, manuscripts, periodicals and theses on the use of the bow for hunting, war, and recreation, from the earliest times to the present day. Simon Archery Foundation.
Lamotte A. B., 1968, Contribution à l’étude de l’archerie musulmane, principalement d’après le manuscrit d’Oxford Bodléienne Huntington no 264, Damasco, di furūsiyya di MARDI
Latham J.D. –Paterson W.F., 1970, Saracen Archery. An English version and exposition of a Mameluke work on archery (ca. A.D. 1368), Londra,
Loi C. 2012, Le corde di lino per archi fra etnografia e sperimentazione archeologica, Tiro con l’Arco Tradizionale, N.1, Target Editore, pp.82-85 6
Markham, Gervase 1634 The Art of Archerie
Moseley, Walter Michael 1792 An Essay on Archery, Describing the Practice of that Art in all Ages and Nations
Mustafa Kani, 1847, Telhis resail errumat (“Compendio dei trattati d’arcieria”), Istanbul.
Roberts, T. 1801 The English Bowman or: Tracts on Archery, to which is added the second part of The Bowmans GloryWaring,
Taylor, M.C. 1947, Bowstring, in Hickman C., Klopsteg.E.C. , Nagler F., Archery, The Technical Side, first edition, NFAA, pp.251-258
Thomas, 1824 A Treatise on Archery or, The Art of Shooting with the Long Bow
Wa-awsafihima. (XIV sec.): Munyatu’l-ghuzat; A 14th Century Mamluk-Kiptchak Military Treatise, tradotto da Kurtulus Öztopçu. (Sources of Oriental Languages and Literatures 13, 1989)

Note


1) Per Warbow si intende genericamente qualsiasi arco utilizzato per la guerra. Con il progresso delle protezioni (armature) la “forza” dell’arco da guerra, in qualsiasi contesto storico, è naturalmente aumentata fino al declino dell’arco e delle frecce, sostituite dalle armi da fuoco. Warbow, per eccellenza è il “Longbow” inglese di Tasso del periodo tardomedievale, utilizzato nella Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, caratterizzato da fortissimi carichi e frecce molto pesanti e privo di impugnatura ben delineata. In modo molto approssimativo ogni reperto archeologico fedelmente riprodotto e sottoposto a verifica sperimentale il cui carico risulti superiore a 80-90 libbre può essere considerato “Warbow”. Oggi, per “Longbow” si intende invece convenzionalmente un arco dritto (senza ricurve) lungo più di 64 pollici, anche se in legno rivestito in fibra di vetro, con l’impugnatura rigida, difficilmente superiore a 60 libbre. Niente a che vedere, dunque, con il Longbow antico, e a maggior ragione con il Warbow.
2) Sebbene allo stato attuale non esista una catalogazione esaustiva di tutti i trattati di arcieria del vicino e Medio Oriente, è possibile dare un’idea della sterminata produzione al riguardo con alcuni dati. La “Bibliography of Archery” di Lake e Wright sostiene che attualmente sono pervenuti a noi 95 manoscritti di trattati di arcieria – tra arabi, persiani, turchi – , senza contare le varie copie reinterpretate dello stesso trattato da parte di altre scuole. Questa cifra quasi sicuramente non è esaustiva e altre testimonianze attendono probabilmente di essere riscoperte. A questi trattati specifici, inoltre andrebbero aggiunti i capitoli riguardanti l’arcieria contenuti in testi più generali di carattere militare o cinegetico. Tra i più importanti (tra cui quelli tradotti e commentati) citiamo: Al-Asrafi (…)XIV sec; Gunyat al-tullab (…) 1464; Ibn ‘Ali Al-Tarsusi 1200; Faris & Elmer 1945; Wa-awsafihima. (XIV sec.); Mustafa Kani, 1847; Latham & Paterson 1970, Lamotte 1968.
3) Flavio Renato Vegezio, IV e V secolo: De Re Militari; Anonimo: IV e V secolo De Rebus Bellicis; Giulio Africano Kestoi metà III secolo (→Peri Toxeias); Anonimo bizantino, seconda metà VI secolo: Peri Strategikon (→ Peri Toxeias); Procopio di Cesarea, seconda metà VI secolo: De Bello Persico; Pseudo Maurizio, seconda metà VI secolo: Strategikon; Leone IV imperatore, fine nono secolo: Taktika.
4) Anon. Ca. 1515; Ascham, 1545; Markham, 1634; Moseley, 1792; Hargrove, 1792; Roberts, 1824.

da: http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/

per le immagini vai qui, a fine testo:
http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/


Marco Dubini

mercoledì 13 aprile 2016

CALENDARIO EVENTI E INIZIATIVE PER IL 2016

PASSATI:

a) 16 gennaio, Cascina Nosedo (MI), Via San Dionigi 70 (di fronte al Nocetum) ore 18, falò di Sant'Antonio, acceso con frecce incendiarie

b) 24 gennaio, Angera (VA) Torneo di San Sebastiano

c) da gennaio a maggio: Medioevo a scuola...... a scuola di medioevo, nelle scuole medie della provincia di Como (vedi:http://newscompagniabianca.blogspot.it/…/medioevo-scuolaa-s…)
Date e scuole:
13/2: scuola media De Amicis di Lomazzo 
20/2: scuola media Anna Frank di Guanzate
19/3: scuola media di Vertemate con Minoprio
9/4: scuola media Foscolo di Como
per le immagini vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2016/04/medioevo-scuola-scuola-di-medioevo.html

d) domenica 17 aprile,  ore 9-19, corso di costruzione arco bastone, con Gionata Brovelli, vedi:
https://www.facebook.com/events/1660840200800056/
Per le immagini del corso del 2015, vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html

e) 7, 8 e 9/5: castello del Baradello (CO), campo di tiro e accampamento, vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2016/05/tre-giornate-con-le-scuole-e-col.html

 
f28 (e 29) maggio: sotto le mura medievali di Como, Como città Medievale, accampamento e campo di tiro

g) 26 giugno, Lentate sul Seveso (MB), Rievocazione medievale, Villa Cenacolo. Accampamento con gli amici della Gualdana del Seprio, campo di tiro e banco didattico arcieria storica

h) 17 e 18 settembre, Medioevo alla cascina Nosedo (EVENTO ANNULLATO)

domenica 6 marzo 2016

RESTYLING DEL NOSTRO SITO

Abbiamo reso più navigabile il nostro sito: http://www.compagniabianca.it/indice.asp

Dategli un'occhiata e mandate suggerimenti per ulteriori migliorie.

Abbiamo arricchito l'area Contributi con numerosi lavori dell'amico Gionata Brovelli (vedi: http://www.compagniabianca.it/contributi.asp)

Abbiamo messo a punto l'area immagini (vedi: http://www.compagniabianca.it/immagini.asp)

Ma dove ci siamo superati è nell'area giochi (vedi: http://www.compagniabianca.it/giochi.asp)

Navigare per credere...

lunedì 29 febbraio 2016

LE CONFERENZE DELLA COMPAGNIA BIANCA


Siamo in grado tenere le seguenti conferenze:

1) L’arco nella storia
2) Archi e balestre nel Medioevo
3) Macchine da guerra e guerra d’assedio nel medioevo

con banco didattico arcieria storica, un arciere e un balestriere militari medievali in abito con attrezzatura di tiro e protezioni metalliche; zona Pianura padana, XII-XIII secolo

inoltre:

4) Alimentazione medievale, con banco alimentare
5) Storia del costume medievale, con figurante

La durata di ogni singola conferenza va da una a due ore in rapporto alle esigenze dell'organizzatore. L’illustrazione degli argomenti avverrà sia tramite la proiezione di immagini in Power Point, sia tramite figuranti in abito medievale
È possibile anche avere la presenza sia di un frate francescano che distribuisce e descrive una bevanda tipica medievale (l’ippocrasso) che di una dama, popolana o nobile.

per informazioni info@compagniabianca.it

per le immagini delle conferenze già tenute: http://compagniabianca.blogspot.it/…/le-tre-conferenze-tenu…

lunedì 15 febbraio 2016

RIPRENDONO I CORSI DI TIRO CON L'ARCO IN LEGNO

Sabato 27 febbraio, ore 10-13, seconda lezione del III corso 2015/16 (meteo permettendo).
Ancora un posto disponibile.
Queste le modalità:
1) quattro lezioni di tre ore ciascuna, da tenersi il sabato o la domenica o, previo accordo, in altre giornate
2) arco, frecce, parabraccio e bersaglio sono a cura dell’istruttore
3) alle lezioni possono partecipare non più di tre allievi per corso
4) per iscriversi basta mandare una mail a info@compagniabianca.it indicando il nome e il numero di telefono. Sarete contattati personalmente dall’ istruttore
Per le immagini dei corsi precedenti, vai qui:
http://compagniabianca.blogspot.it/search/label/CORSI%20DI%20TIRO%20CON%20L%27ARCO%20IN%20LEGNO%20E%20ADDESTRAMENTI%20AL%20CAMPO%20DI%20TIRO
La Compagnia Bianca di Milano - Arcieri medievali militari
Sito Internet: www.compagniabianca.it
Blog visuale: http://compagniabianca.blogspot.it/

domenica 14 febbraio 2016

CORSO DI COSTRUZIONE ARCO BASTONE - 17/4/2016

  • dalle ore 9:00 alle ore 19:00
  • presso Associazione Nocetum, Via San Dionigi, 77, Milano
Il corso ha la finalità di fornire tutte le informazioni di base necessarie per poter costruire un vero arco “storico” di legno basandosi sullo studio dei reperti di archi medievali giunti fino a noi.
Il corso sarà strutturato in due sezioni. Nella prima verranno presentati i reperti degli archi semplici di legno ritrovati in Europa e risalenti al periodo compreso tra il I e il XVI secolo d.C.
Nella seconda verranno fornite le informazioni per la costruzione di arco e frecce. 
Verranno quindi affrontati i seguenti argomenti:
a) scelta del materiale
b) “interpretazione” della doga
c) stagionatura
d) problemi riscontrabili
e) scelta e tecniche di utilizzo degli attrezzi
g) fasi della lavorazione
h) test e tecniche di tiro
i) costruzione di frecce storiche
l) reperimento materiali
m) colle naturali
n) realizzazione di semplici punte storiche
o) realizzazione degli impennaggi

Si tratta quindi di un corso pensato per chi non si accontenta di costruire un qualsiasi arco di legno funzionante ma un arco realizzato con le stesse caratteristiche e filosofia di costruzione di quelli utilizzati dai nostri predecessori medievali.

I posti sono limitati (20), le iscrizioni si chiudono al raggiungimento del numero indicato. Per informazioni scrivere a info@compagniabianca.it

Per le immagini del corso dell'anno scorso vai qui:

http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html

mercoledì 3 febbraio 2016

Candidati al PREMIO ITALIA MEDIEVALE 2016

La Compagnia Bianca di Milano, arcieri militari medievali, è candidata al 

PREMIO ITALIA MEDIEVALE 2016, nella categoria D, Gruppi storici (Associazioni, gruppi d'arme, gruppi storici) 



Votateci e fateci votare. 



Per le informazioni sul Premio e per votare, vai qui: http://www.italiamedievale.org/portale/premio-italia-medievale/


Si può votare anche inviando una mail a info@italiamedievale.org, con un SMS al 333/5818049, un fax o una telefonata al 02/45329840.