Per i rievocatori l'inverno è periodo di studio e lavoro di manutenzione (e un poco anche di vacanza).
Per quei gruppi di rievocatori che sono interessati ad approfondire gli aspetti storici e pratici dell'arcieria antica, la Compagnia Bianca mette a disposizione le sue conoscenze ormai più che decennali.
Siamo in grado di tenere uno stage (con due o tre di noi) della durata di una giornata così strutturato:
a) la mattina conferenza con immagini e oggetti antichi ricostruiti sulla storia dell'arco
b) il pomeriggio scuola di tiro con archi in legno
Si consiglia una partecipazione da un minimo di 5 a non più di 15 persone. Tutta l'attrezzatura è a carico della Compagnia, luogo della conferenza e campo di tiro esclusi.
Per informazioni: www.compagniabianca.it, area Contatti
martedì 15 novembre 2016
sabato 29 ottobre 2016
ISHI, IL SUO ARCO, LA CACCIA
da:
ISHI UN UOMO TRA DUE MONDI, La storia dell’ultimo indiano Yahi, di
Theodora
Kroeber *,
Jaka Book, 1985, pag. 168-175
dalla
IV di copertina:
Nel
1849, anno della Corsa all’Oro, gli Yana della California
settentrionale erano più di duemila. Ventun anni più tardi, nel
1871, erano praticamente scomparsi. Ne rimaneva soltanto una
quindicina, della tribù Yahi, che dopo un tentativo di pace con
l’invasore sparì completamente per vivere una singolare esistenza
clandestina che durerà trentotto anni.
Il
10 novembre 1908 alcuni ingegneri, incaricati di studiare la
possibilità della costruzione di una diga alla confluenza di due
torrenti, scoprono per caso un villaggio indiano nascosto tra la
fittissima boscaglia californiana e mettono in fuga i suoi quattro
abitanti, gli ultimi Yahi sopravvissuti. Successivamente uno di loro,
Ishi, continuerà a vivere da solo nella clandestinità più
assoluta fino al 29 agosto 1911, giorno in cui, stremato e disperato,
si consegna alla “civiltà”.
Sarebbe
vissuto ancora cinque anni prima di morire, nel 1916, di tubercolosi.
Il
caso ha voluto che in quei cinque anni due antropologi
dell’Università di California, Kroeber e Waterman, abbiano potuto,
con molta intelligenza, discrezione, rispetto e amicizia, studiare
l’uomo che aveva fatto quel salto prodigioso dall’età della
pietra alla civiltà tecnologica occidentale.
Quest’opera,
la cui lettura è sconvolgente, è pervasa da una grande tristezza.
E’ la testimonianza della conquista, del razzismo, della furberia,
della crudeltà e delle occasioni mancate – tra cui quella di una
convivenza tra indiani e bianchi. Si tratta di un libro scritto con
molta intelligenza, competenza e tatto, un libro di coraggio, di
saggezza e forse di speranza.
E’
un libro pubblicato nel 1961 scritto dall’antropologa che ha
conosciuto e studiato, per cinque anni Ishi, morto nel 1916. Ne
riportiamo alcune pagine.
………….le
armi, i gesti e le tecniche di caccia di Ishi non avevano nulla in
comune con quelli del moderno cacciatore. Oggi l’uomo caccia per
puro divertimento e non ha un vero bisogno della preda; più di
questa gli interessa invece provare brevemente e intensamente la
soddisfazione di uccidere. Ishi cacciava per vivere, utilizzava ogni
parte dell’animale ucciso e viveva a stretto contatto con la fauna,
di cui aveva una profonda conoscenza. La mitologia degli Indiani
d’America vuole che gli uomini, prima di essere tali, siano stati
degli animali; in questo senso riconosce una continuità biologica
tra la vita animale e l’uomo e insieme impone un sistema di
credenze che impedisce di prendere la vita senza rispettarla.
L’arco
non è un’arma che si possa affidare al primo venuto, come è
invece il caso dei suoi moderni sostituti, il fucile e la pistola, e
anche l’arciere esperto conosce l’importanza della “tecnica”
e l’incidenza che questa ha sui risultati. C'è stato un periodo
nella storia in cui l’arco era l’arma della guerra e della caccia
in tutti i continenti e le isole abitate, con l’eccezione
dell’Australia e delle isole della Polinesia. Diversi sono stati i
materiali impiegati nella sua costruzione, le sue forme, il modo di
tenerlo e di scoccare la freccia, ma dovunque questa difficile arte è
stata tenuta in massimo conto, onorata e ricompensata. Sempre e
dovunque la fabbricazione e l’utilizzazione dell’arco sono state
circondate da rituali e tabù che vanno al di là della tecnica e
delle regole effettivamente necessarie.
Gli
Yahi non facevano eccezione. Al museo, i nuovi amici di Ishi
impararono da lui a lanciare la freccia, lo osservarono fabbricare
archi e frecce e cacciarono con lui. Ishi era un cacciatore
formidabile: cacciava sempre da vicino, adescava la preda attirandola
progressivamente con una ingegnosità e una pazienza infinite. Fu
come cacciatore che Ishi mostrò la sua abilità di artigiano e
artista. Al museo, cadendo a sua volta preda dell’ansia di
sperimentazione scientifica, fabbricò e mise alla prova archi
fabbricati con diversi tipi di legno; tuttavia il suo vero arco da
caccia era invariabilmente di ginepro di montagna. Sceglieva
anzitutto l’albero e successivamente il ramo da cui ottenere un
nuovo arco. Dopo questa scelta ben ponderata, il ramo veniva tagliato
e sgrossato. Ancora ben lontano dall’essere finito, l’arco
possedeva già un alto e un basso, e Ishi, posandolo, rispettava
queste parti e proprietà diverse: l’alto era la parte del ramo che
si era trovata più vicina al tronco, mentre il basso era il lato del
ramo rivolto verso l’esterno (qui, secondo me, c’è più di un
errore di traduzione n.d.r.)
Ishi
modellava l’arco a misura della persona che l’avrebbe usato:
doveva esserci una certa proporzione tra l’altezza dell’arciere e
la lunghezza dell’arma, e tra la grossezza della mano e lo spessore
del legno. La lunghezza dell’arco doveva essere uguale alla
distanza tra l’articolazione dell’anca destra e la punta del dito
medio della mano sinistra, misurata con la persona in posizione
eretta e con il braccio teso orizzontalmente in avanti. Nel caso di
Ishi, questa distanza era di un metro e venticinque. Larghezza e
spessore del legno dovevano essere maggiori ai due lati
dell’impugnatura: la larghezza dell’arco era di quattro dita per
armi potenti, e di tre dita per armi più leggere, destinate alla
piccola selvaggina.
Assistere
alla fabbricazione di un arco alla maniera di Ishi era fare un
viaggio indietro nel tempo fino al neolitico, un neolitico però
carico di toni yahi. Una volta sbozzato, il futuro arco veniva
riposto a stagionare in un luogo dal calore e dall’umidità
costanti. Per tutto questo tempo era mantenuto orizzontale.
Appoggiato a terra, portato o in posizione di tiro, la priorità
della parte alta dell’arco andava sempre rispettata, essendo la
garanzia che la freccia avrebbe colpito il segno. Per la definitiva
preparazione dell’arco si rendevano necessari tutti gli strumenti
di Ishi, coltelli e raschietti di selce e di ossidiana. La pulitura
definitiva si faceva con pietra arenaria. Gli archi di Ishi
presentano una elegante linea curva alle estremità, di una tale
simmetria che stupisce la semplicità del procedimento che permetteva
di ottenerla; lavorava ciascuna estremità piegandola avanti e
indietro sopra una pietra calda, finché il legno diventava cedevole;
poi la premeva contro il ginocchio piegato, protetto con una pelle di
cervo, e la teneva così premuta finché il legno tornava freddo. A
questo punto la curva era definitiva.
Per
rinforzare l’arco, Ishi si serviva dei lunghi tendini delle zampe
posteriori del cervo: li sfilacciava, li macerava, li masticava in un
processo lungo e faticoso. Quando i tendini erano diventati regolari
e sottili come delle strisce di pergamena, li incollava sulla parte
interna (forse esterna, n.d.r.) dell’arco, una striscia dopo
l’altra, per aumentare la potenza e l’elasticità dell’arma.
Quanto alla colla, la preparava facendo bollire della pelle di
salmone. Per la corda dell’arco Ishi utilizzava i tendini più
sottili delle zampe anteriori, che faceva passare tra i denti fino a
quando acquistavano la sottigliezza di un filo di seta. Dalle fibre
così ottenute fabbricava poi una corda.
Prima
di ricevere la corda, l’arco veniva accuratamente lasciato seccare
al sole per giorni e settimane, poi rifinito e levigato.
La
corda veniva legata prima all’estremità alta dell’arco. Ecco
come Pope descrisse la successiva operazione: “Seduto Ishi metteva
l’estremità alta dell’arco dietro il tallone sinistro, la
concavità dell’arco rivolta verso di lui; poggiava poi
l’impugnatura contro il ginocchio destro e teneva nella mano
sinistra la parte bassa dell’arco, ora rivolta all’insù. In
questa posizione piagava l’arco e legava la corda all’estremità”
(inferiore). Se l’esatto rapporto tra lunghezza, spessore e
rinforzo era stato osservato, l’arma tesa al massimo descriveva un
arco geometrico perfetto – l’ideale di Ishi – e sviluppava,
quando al corda era tirata di sessanta centimetri, una spinta di
venti chili.
Di
solito Ishi si accontentava di avvolgere il suo arco in un pezzo di
pelle, tuttavia riteneva che il miglior fodero fosse una coda di
puma. Quando non lo usava, aveva sempre cura di stenderlo
orizzontalmente, e di non lasciarlo mai in posizione verticale. In
piedi, infatti, avrebbe continuato a lavorare, a sudare e a
indebolirsi. Il modo di Ishi per verificare lo stato di un arco era
quello di pizzicare la corda con le dita: se l’arco era in buone
condizioni doveva rispondere con una nota alta e musicale. Una nota
sorda e senza vita era segno che l’arco non era più buono o che
era stato contaminato, forse dal tocco di una donna. Quando Ishi
aveva ottenuto dal suo arco una nota chiara e musicale, spesso lo
avvicinava alle labbra, e accarezzando la corda con le dita produceva
un suono triste e melodioso con cui accompagnava un antico racconto
yahi. Ishi amava il suo arco più di ogni altra cosa.
Per
la fabbricazione delle frecce, Ishi preferiva a ogni altro legno i
giovani e dritti steli del nocciolo. Come per l’arco, anche per le
frecce bisognava rispettare sempre la posizione. Era sua abitudine
fabbricare le frecce sempre in numero di cinque. Soltanto quando le
cinque frecce erano terminate e messe a stagionare si poteva
cominciare a lavorare a una nuova serie di cinque. La bacchetta di
nocciolo veniva subito liberata della corteccia, poi, per togliere
ogni irregolarità, Ishi la faceva rotolare avanti e indietro su
delle pietre calde; successivamente la levigava accuratamente con
dell’arenaria e le dava la definitiva lucidatura sfregandola contro
una gamba, una tecnica, questa, che ricorda la lucidatura a meno
degli ebanisti, in cui l’umore che trasuda dalla pelle penetra nel
legno nel corso della frizione.
Anche
le frecce erano fatte su misura: la loro lunghezza doveva essere
uguale alla distanza che separa la base dello sterno dalla punta
dell’indice sinistro quando il braccio è in posizione di tiro,
parallelo alla freccia – settantacinque centimetri per Ishi.
A
volte, ma non sempre, Ishi utilizzava per la parte anteriore della
freccia un legno più pesante, della lunghezza di una ventina di
centimetri. Per unire insieme le due parti di questo tipo do freccia
si serviva di un pezzo d’osso appuntito che metteva per terra, la
punta in alto, tenendolo fermo con i piedi. Prendeva poi l’asta
principale della freccia e, tenendola verticalmente, la faceva
ruotare con le palme delle mani sopra l’osso acuminato finché non
riusciva a praticare un buco di tre o quattro centimetri di
profondità. A questo punto prendeva la seconda asta e ne affilava
una estremità, fino a ricavare un perno che infilava nel buco
dell’asta principale, fissandolo con resina o colla.
Ishi
decorava abitualmente le sue frecce usando un motivo circolare
bicolore, ma il suo interesse era più rivolto all’impennaggio che
alla decorazione. Le penne preferite erano quelle dell’aquila, ma
adoperava abitualmente anche quelle di poiana, di ghiandaia azzurra e
di altri uccelli. Montava le penne in numero di tre, e tutte dovevano
provenire dalla stessa ala, secondo un’usanza osservata dovunque
dai buoni arcieri. L’angolo delle penne con l’asta è
fondamentale per la traiettoria della freccia. Ishi montava le penne
ad angolo acuto rispetto al senso longitudinale della freccia, non le
fissava mai esattamente perpendicolari. Questo metodo, che è il più
diffuso, favorisce la precisione di tiro dalla breve distanza,
permette alla freccia di ruotare meglio e le assicura una migliore
penetrazione, sebbene, ma questo a Ishi interessava meno, la velocità
e la distanza ne risultino sacrificate.
La
faretra usata da Ishi, e che gli fu portata via a Wowunupo il giorno
in cui il villaggio fu scoperto, è ora visibile nel museo. Ricavata
dalla pelle intera di una lontra, con il pelo all’esterno, è
abbastanza grande da ospitare l’arco insieme alle frecce. Ishi se
la gettava su una spalla e la lasciava penzolare dietro la schiena.
Con
una semplice striscia di pelle legata intorno alla vita, l’arco e
le frecce nella faretra sulla schiena, Ishi lasciava l’accampamento
o il villaggio e andava a caccia. Si muoveva tra la boscaglia senza
far rumore, finché raggiungeva una radura che gli sembrava adatta
allo scopo. Qui si fermava, toglieva l’arco dalla faretra e si
assicurava che la corda fosse ben tesa e annodata al legno, perché
l’arco doveva essere sempre pronto. Prendeva poi alcune frecce e le
metteva sotto l’ascella destra, in modo che fossero a portata di
mano ma non lo ostacolassero nel tiro. Se udiva il rumore o sentiva
l’odore di qualche animale, si nascondeva al riparo di una roccia
o di un arbusto. Se necessario, sapeva attendere intere ore: non
lasciava mai una preda individuata o sospettata per un’altra,
magari più grossa e sicura. Da buon cacciatore, doveva riuscire a
individuare la preda prima che questa si accorgesse di lui, e i suoi
sensi, vista, udito e odorato, contribuivano tutti a dargli questo
iniziale vantaggio.
Avvertita
la presenza di un coniglio, se ne stava nascosto, e con due dita
premute contro le labbra emetteva degli schiocchi leggeri, simili a
dei baci: il delicato suono lamentoso del coniglio in difficoltà.
Inevitabilmente qualche coniglio si avvicinava, rispondendo al
richiamo, ma il cacciatore faceva bene a prepararsi a incontri più
pericolosi. Talvolta all’invitante richiamo rispondevano un gatto
selvatico, un puma, un coyote o un orso. Il repertorio di Ishi
comprendeva vari richiami, quello della quaglia e dello scoiattolo
grigio, il grido dell’oca selvatica e quello di molti altri uccelli
e animali. A volte colpiva prede piccole da una distanza molto
ravvicinata – un coniglio da quattro i cinque metri – ma sapeva
essere preciso anche su distanze maggiori, anche di quaranta metri;
tirava agli uccelli on volo e agli animali in fuga, tuttavia
preferiva il colpo a breve distanza e quando l’animale era
immobile. Era sempre molto attento a restare sottovento rispetto alla
preda, e data la silenziosità dell’arco, gli animali non si
mettevano in allarme nemmeno quando una freccia non li mancava di
poco. Con le sue imitazioni dei loro versi li attirava verso di sé,
suscitando il loro interesse o la loro curiosità, facendone in
questo modo dei comodi bersagli. La curiosità degli uccelli e dei
mammiferi, che i cacciatori primitivi sanno sfruttare a loro
vantaggio, non può essere di aiuto al cacciatore moderno armato di
fucile: lo sparo, infatti, incute negli animali un terrore che
paralizza ogni altra reazione o emozione. Ishi, e come lui tutti gli
arcieri solitari, non introduceva nessun elemento estraneo
nell’ambiente naturale, essendo un possibile nemico tra gli altri,
come la moffetta è nemica della quaglia, il coyote del coniglio e il
puma del cervo.
Ishi
maneggiava sempre il suo arco con rispetto e solennità, e non
cacciava mai alla leggera; per la caccia al cervo aveva poi un
preciso rituale. Durante il giorno e la notte precedenti la caccia al
cervo non mangiava pesce e non prendeva tabacco; quando era possibile
estendeva il periodo di astensione a tre giorni e tre notti.
Naturalmente in un villaggio yahi si sarebbe astenuto anche dai
rapporti sessuali.
Il
mattino del giorno fissato per la caccia si lavava tutto, nella sua
vecchia casa avrebbe fatto un bagno di sudore, si puliva con cura la
bocca e si metteva in cammino senza mangiare: avrebbe mangiato sola
alla fine della giornata. Lungo le braccia e le gambe incideva con
una scheggia affilata di ossidiana delle nuove, leggere
scarificazioni per accrescere la forza degli arti. In tutto il
cerimoniale di preparazione distinguiamo due motivi: quello pratico,
volto a ridurre al minimo l’odore dell’uomo in modo da non
insospettire la preda, e quello magico-morale, che cerca di
incanalare la libido e di rivolgerla interamente alla caccia.
Solo
o in compagnia, Ishi preferiva la tattica dell’adescamento e
dell’imboscata a quella dell'inseguimento. Accovacciato dietro un
riparo artificiale di rocce, dietro o in mezzo a un cespuglio vicino
al luogo dove aveva intuito o sentito la presenza del cervo,
aspettava. Aspirando aria tra una foglia di alloro piegata in due
tra le labbra, poteva imitare il lamento di un cerbiatto ed essere
sicuro di attirare in questo modo qualche cerva preoccupata per il
suo piccolo. Oppure poteva coprirsi il capo con una testa di cervo
impagliata, con dei rami a suggerire le corna. Muovendo la testa al
di sopra dello schermo di pietre o di arbusti, piegandola di lato,
simulava il quieto brucare di un cervo. Era certo, in questo modo, di
attirare a pochi passi un altro cervo, o una cerva. Forse il nuovo
venuto cadeva nell’inganno ritenendo di trovarsi di fronte a un
animale della sua stessa specie, o forse la sua curiosità lo
spingeva verso quella nuova, strana creatura della foresta. In ogni
caso si mostrava interessato e incuriosito, cauto ma mai impaurito.
Ishi aveva tutto l’agio di tirare, di mancare anche un colpo o due
prima che il cervo si allarmasse.
Un
uomo solo armato semplicemente di arco e frecce non va a caccia con
l’idea di stanare un orso grizzly. Gli Yahi cacciavano il grizzly
solo quando quest’ultimo era in letargo, e in numero sufficiente a
circondarlo di arbusti infuocati prima del suo totale risveglio.
Anche in questo caso, soltanto un colpo molto ravvicinato poteva
essere mortale. Di preferenza miravano alla bocca aperta, lanciando
frecce dalla punta piccola e molto aguzza, adatte a provocare
emorragia. Se l’orso attaccava, l’uomo cercava di difendersi
brandendo un fascio di sterpi infuocati, mentre i compagni
stringevano il cerchio per meglio scoccare le loro frecce. Dalle
descrizioni dei cacciatori, bianchi o yahi, sembra proprio che la
caccia al grizzly somigli molto a una corrida, nel senso che la morte
sopraggiunge dopo che l’orso è stato indebolito dalla fatica e
dalla perdita di sangue. Sappiamo che Ishi uccise da solo almeno un
orso bruno – chiamato anche orso nero nell’Ovest. Non ne parlò
mai diffusamente, ma è chiaro che era stato caricato dall’orso.
Per fortuna, prima che l’animale gli fosse addosso, Ischi ebbe modo
di tirare una freccia e lo colpì nella regione del cuore. Per il
colpo di grazia usò una corta lancia dalla punta di ossidiana, che
di solito teneva a portata di mano appesa alla cintura o infilata
nella fascia che gli copriva la vita. La pelle dell’orso ucciso da
Ishi contribuì a tenere lui e i suoi compagni al caldo a Wowunupo,
prima del saccheggio del villaggio; curiosamente, quella stessa pelle
fu donata al museo qualche anno dopo.
Per
l’appassionato di tiro con l’arco, una delle cose più
interessanti di Ishi era la sua tecnica di tiro. Oggi un buon arciere
conosce le tecniche classiche, i diversi tipi di arco e i modi di
scoccare la freccia che si sono usati nel corso della storia. Questi
dettagli tecnici richiedono una terminologia particolare e ostica per
chi non è del mestiere, e in questo caso una fotografia vale più di
molte parole. Comunque, una delle principali caratteristiche della
tecnica di Ishi era che preferiva tirare da posizione accovacciata.
Era un’usanza tribale direttamente legata alla pratica di caccia
degli Yana: un cacciatore accovacciato, nascosto dietro un riparo
spesso insufficiente, aveva poche probabilità di fare centro se,
dopo aver adescato la preda, doveva alzarsi in piedi per tirare. La
posizione accovacciata non era un ostacolo quando si usava un arco
non più grande di quello di Ishi, e quando lo si teneva come faceva
lui, diagonale rispetto al corpo, la parte alta piegata verso
sinistra, la corda tirata all’altezza della guancia. Un’altra,
insolita caratteristica di Ishi era che, nell’istante in cui la
freccia veniva scoccata, le dita della mano sinistra allentavano la
stretta e permettevano all’arco di ruotare su se stesso all’interno
della mano. Questa tecnica richiede una presa ferma ma nello stesso
tempo leggera, in modo che l’arco non scappi di mano, ma che nulla
impedisca il suo movimento. Questo movimento può essere paragonato
al “follow-through” dove, colpita la palla, il tennista
perfeziona il colpo con un movimento largo e leggero, oppure al
completamento della traiettoria ad arco compiuta da una mazza da golf
dopo il colpo, mentre il golfista ruota sul piede d’appoggio.
Anche
la tecnica con cui Ishi tendeva la corda e scoccava la freccia aveva
una curiosa particolarità: era diversa da tutte le altre tecniche di
tiro, e a tutt’oggi rimane unica nella letteratura specialistica.
Si trattava apparentemente di una variante yahi, o meglio yana, della
tecnica di tiro mongolica o asiatica, una delle cinque grandi
tecniche conosciute, ma che non era mai stata segnalata tra gli
Indiani d’America. La tecnica mongolica si usa generalmente con
l’arco composito e presuppone l’uso di un anello per il pollice;
infatti è il pollice piegato che tende la corda, e le altre dita
servono solo a tenere e guidare la freccia. Ishi non usava anello né
altra protezione per il pollice, e il suo arco non era composito ma
semplice.
Dopo
una prolungata esercitazione al tiro al bersaglio, il pollice si
gonfiava e gli faceva male, ma questo non accadeva mai durante la
caccia. Ishi tendeva l’arco con il pollice destro piegato come
nella classica tecnica mongolica; la variazione yana stava nella
posizione di un dito: la punta del medio veniva appoggiata contro
l’unghia del pollice in modo da rafforzarne la presa.
A
questo punto si pone il problema del perché gli Yana usassero il
loro arco semplice con una tecnica diversa dagli altri arcieri e che,
caso unico in America, era una variante della tecnica mongolica. Non
conosciamo la risposta, possiamo solo ipotizzare che lasciando l’Asia
nel corso di una lunga serie di migrazioni ormai dimenticate, gli
antenati di Ishi portarono con sé l’arco semplice che avevano
imparato a tendere con il pollice, in un’epoca in cui l’arco
composito e l’anello per la protezione del pollice non erano ancora
stati inventati. Questa ricostruzione storica ci riporta alla
preistoria, e presuppone una lingua di terra tra l’Asia e
l’America. E’ soltanto un’ipotesi e nulla più, ma conferma
quello che già sappiamo degli Yana e che anche una analisi della
lingua di Ishi lascia intendere: questo popolo aveva delle radici
molto antiche.
*
Theodora Kroeber è la moglie del celebre antropologo statunitense
Alfred, autore fra le altre opere del Manuale
degli indiani di California
(1925). Quando Ishi venne affidato ad Alfred Kroeber e a T. Waterman,
del Museo di Antropologia dell’Università di California, ella si
trovò a seguirne e conoscerne da vicino, attraverso il racconto del
marito, la storia. Questo libro, per la cui stesura sono stati
ampiamente utilizzati documenti e fonti in possesso dell’Università,
assolve nelle intenzioni dell’autrice e dei membri del dipartimento
di antropologia che l’incoraggiarono a sciverlo, al compito di
fissare la memoria di una vita grande e tragica.
lunedì 12 settembre 2016
L’arco da guerra nel Medioevo e il progetto MBA
Per più di ventimila anni l’arco e le
frecce sono stati presenti nello scenario antropologico. Originariamente
nate per la caccia con l’avvento della sostanzialità umana al termine
dell’ultima glaciazione diventano arma da guerra a difesa della
proprietà privata e principalmente destinata alla sopraffazione.
Il colpire a distanza rappresenta la qualità adattativa per eccellenza
della specie umana e l’arco e le frecce sono l’ultima espressione dopo
il sasso scagliato, la lancia e il propulsore. Solo dopo l’adozione
della polvere da sparo per uso bellico, avvenuta in Occidente intorno
alla fine del quattordicesimo secolo, lentamente fu abbandonata, per
rinascere di popolarità come “attività di svago” dei nobili e infine
come sport verso la fine del ‘700.
Si realizzò così il suo mutamento d’uso, di costume, di finalità e nacque lo sport del tiro con l’arco. Il suo primo riconoscimento olimpico avvenne nel 1900, anche se le regole di gara oggi adottate hanno avuto piena legittimazione dalle Olimpiadi del 1972.
Naturalmente la tecnica di tiro si modificò in modo sostanziale da quella antica adattandosi alla necessità unica di “colpire un bersaglio di paglia” con precisione. Esempio calzante, in quest’ambito può essere desunto dal “peso” di trazione degli archi antichi rispetto a quelli moderni. Oggi, nello sport del tiro con l’arco difficilmente gli archi sono di carico superiore ai 20 kg; lo sforzo di trazione al massimo allungo (quando la freccia sta per essere scoccata) nel medioevo superava i 40 kg e arrivava anche oltre i 70. Inoltre, anticamente non si usavano congegni di mira e le frecce erano molto più pesanti di quelle utilizzate oggi nei percorsi di gara.
In termini generali il tiro con l’arco contemporaneo incentra la sua attenzione sullo sfruttamento estensivo dell’attrezzatura (con le relative derive consumistiche), sulla sua sofisticazione e sull’esclusiva ricerca dell’estrema precisione. Gli archi sono sempre più facili da tendere, le frecce sempre più leggere, i mirini, gli stabilizzatori e gli altri “aiuti” ne snaturano la sua essenza, livellano le prestazioni; si esaspera lo spirito competitivo nelle gare riducendone la spettacolarità. Il bersaglio è visto come qualcosa di statico in cui esiste un “centro” da colpire, la cui grandezza è funzione dalla distanza di tiro per via della parabola che la freccia deve compiere. Un suo ruolo totalmente passivo in cui la creatività, l’ambientazione e la necessaria adattabilità dell’uomo spesso non trova posto.
Nei tempi antichi la componente umana giocava un ruolo molto più importante, soprattutto perché le doti necessarie per raggiungere lo scopo dovevano formarsi in modo graduale e adattativo alle circostanze, spesso questioni di vita o di morte. L’attrezzatura era semplice e funzionale, il più della volte auto-costruita. Testimonianze etnografiche ci tramandano immagini importanti, popoli che ancora oggi vivono di caccia e raccolta e utilizzano l’arco esattamente come nel medioevo; con molta probabilità anche nella preistoria si tirava con l’arco nello stesso modo.
Gli studi archeologici sui reperti e le ricostruzioni basate sui processi sperimentali ci riportano libbraggi molto alti. Nell’Alto medioevo (archi della nave di Nydam) 40 – 45 kg di carico sono comuni. Nel Basso medioevo (archi ritrovati nel relitto del Mary Rose) 60 – 75 kg di carico sono la maggioranza. Non si pensi, riduttivamente, che i nostri antenati medievali fossero tutti erculei. Sicuramente erano allenati di più, sottoposti a duro addestramento anche, ma in base ai recenti studi appare come la tecnica di trazione fosse completamente diversa, più simmetrica ed ergonomica, in grado di agevolarla.
Si realizzò così il suo mutamento d’uso, di costume, di finalità e nacque lo sport del tiro con l’arco. Il suo primo riconoscimento olimpico avvenne nel 1900, anche se le regole di gara oggi adottate hanno avuto piena legittimazione dalle Olimpiadi del 1972.
Naturalmente la tecnica di tiro si modificò in modo sostanziale da quella antica adattandosi alla necessità unica di “colpire un bersaglio di paglia” con precisione. Esempio calzante, in quest’ambito può essere desunto dal “peso” di trazione degli archi antichi rispetto a quelli moderni. Oggi, nello sport del tiro con l’arco difficilmente gli archi sono di carico superiore ai 20 kg; lo sforzo di trazione al massimo allungo (quando la freccia sta per essere scoccata) nel medioevo superava i 40 kg e arrivava anche oltre i 70. Inoltre, anticamente non si usavano congegni di mira e le frecce erano molto più pesanti di quelle utilizzate oggi nei percorsi di gara.
In termini generali il tiro con l’arco contemporaneo incentra la sua attenzione sullo sfruttamento estensivo dell’attrezzatura (con le relative derive consumistiche), sulla sua sofisticazione e sull’esclusiva ricerca dell’estrema precisione. Gli archi sono sempre più facili da tendere, le frecce sempre più leggere, i mirini, gli stabilizzatori e gli altri “aiuti” ne snaturano la sua essenza, livellano le prestazioni; si esaspera lo spirito competitivo nelle gare riducendone la spettacolarità. Il bersaglio è visto come qualcosa di statico in cui esiste un “centro” da colpire, la cui grandezza è funzione dalla distanza di tiro per via della parabola che la freccia deve compiere. Un suo ruolo totalmente passivo in cui la creatività, l’ambientazione e la necessaria adattabilità dell’uomo spesso non trova posto.
Nei tempi antichi la componente umana giocava un ruolo molto più importante, soprattutto perché le doti necessarie per raggiungere lo scopo dovevano formarsi in modo graduale e adattativo alle circostanze, spesso questioni di vita o di morte. L’attrezzatura era semplice e funzionale, il più della volte auto-costruita. Testimonianze etnografiche ci tramandano immagini importanti, popoli che ancora oggi vivono di caccia e raccolta e utilizzano l’arco esattamente come nel medioevo; con molta probabilità anche nella preistoria si tirava con l’arco nello stesso modo.
Gli studi archeologici sui reperti e le ricostruzioni basate sui processi sperimentali ci riportano libbraggi molto alti. Nell’Alto medioevo (archi della nave di Nydam) 40 – 45 kg di carico sono comuni. Nel Basso medioevo (archi ritrovati nel relitto del Mary Rose) 60 – 75 kg di carico sono la maggioranza. Non si pensi, riduttivamente, che i nostri antenati medievali fossero tutti erculei. Sicuramente erano allenati di più, sottoposti a duro addestramento anche, ma in base ai recenti studi appare come la tecnica di trazione fosse completamente diversa, più simmetrica ed ergonomica, in grado di agevolarla.
MBA! Project
My Bow, Awake! – Ancient Archery Practices in Contemporary Cultural and Recreational Activities
Progetto di ArcoUISP in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia – Laboratorio LAMS, English Warbow Society, patrocinato da EURAC Research – Bolzano.
Il Gruppo di Lavoro MBA: Vittorio Brizzi (ArcoUISP, coordinamento), Andrea Biscarini (Direttore Laboratorio LAMS – Università degli Studi di Perugia), Samuele Contemori e Daniele Busti (Laboratorio LAMS – Università degli Studi di Perugia ), Matteo Lucaroni (Università degli Studi di Perugia, ArcoUISP), Gionata Brovelli (Formatore Arco Storico ArcouiSP), Mark Stretton (English Warbow Society), David Pim (English Warbow Society), Luigi Caramante (Responsabile Sett. Storico ArcoUISP), Lorenzo Carlo Maria Galantini (Formatore Arco Storico ArcoUiSP), Riccardo Fiacca (Delegato Umbria ArcoUISP), Sara Iacopini (Tecnico Educatore ArcoUISP), Luca Ricci, Marco Dubini (ArcoUISP).
Riportiamo un breve testo in inglese che
rende bene l’idea di cosa doveva essere, nella mentalità medievale, un
potente arco da guerra in legno e che sta ad introduzione del documento
UISP che illustra il progetto:
“In My time, my poor father was as
diligent to teach me to shoot, as to learn me any others thing; and so I
think other men did their children: He taught me how to draw, how to
lay my body in my bow, and not to draw with strenght of arms as other
nations do, but with strenght of the body: I had my bows bought me
according to my age and strenght; as I increased in them, so my bows
were made bigger and bigger, form men never shoot well, except they be
brought up in it.” Hugh Latimer, sixth sermon, 1549
“Ai miei tempi il mio povero papà mi ha
diligentemente insegnato a tirare con l’arco come mi ha insegnato il
resto e così altri uomini coi loro figli. Mi ha insegnato ad aprire e a
distendere il mio corpo nell’arco e a non aprirlo con la forza delle
braccia, come fanno nelle altre nazioni, ma con la forza del mio corpo.
Ho avuto archi che si accordavano con la mia età e la mia forza e,
quando miglioravo, gli archi crescevano, perché gli uomini non tireranno
mai bene se non ci crescono dentro”.
Parallelamente a questo progetto è stata
prodotta e già discussa una tesi di Laurea (il 22/7 scorso) presso
l’Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Medicina, Corso di
Laurea in “Scienze e Tecniche dello Sport (LM68)” dal titolo: “Tirare storicamente con l’arco: dalle basi antiche alle moderne analisi scientifiche per una “nuova” proposta sportiva”. Di Matteo Lucaroni, relatore Prof. Andrea Biscarini.
Qui parleremo quasi esclusivamente delle
tematiche affrontate e relative all’arco da guerra medievale (noto come
longbow) nelle sue implicazioni sia storiche che “fisiologiche”.
Il progetto
Il progetto ha l’obiettivo di dare
origine a una nuova attività culturale ludico sportiva in UISP con
caratteristiche complementari rispetto alle attuali discipline sportive
del tiro con l’arco, ispirandosi alla sostanza del tiro storico antico.
Questo progetto vuole definire una cornice di riferimento in cui sia
possibile evidenziare le “differenze” tra lo stile moderno e quello
medievale per aggiungere nuove (antiche) consapevolezze all’attività
sportiva e ludico ricreativa di oggi.
Ciò è avvenuto compiendo una ricerca accurata (fase 1) sulle documentazioni antiche esistenti; ricorrendo in primis allo studio ermeneutico delle iconografie per evidenziare, su base statistica, differenze evidenti di postura tra gli arcieri di ogni genere raffigurati (in battaglia, nei martirii, in caccia e nelle rappresentazioni allegoriche) e quelli d’esempio nelle scuole contemporanee. E’ stata inoltre avviata l’analisi e l’ interpretazione dei rari scritti antichi, a conferma dell’interpretazione delle informazioni visive.
Successivamente (fase 2), attraverso prove di tiro effettuate in laboratorio tra soggetti in grado di tendere l’arco nel “modo antico” (top level) e soggetti di confronto in grado di tendere e scoccare sia in modo antico sia moderno, si è cercato di evidenziare il diverso sfruttamento dei muscoli impiegati nell’atto di tendere e rilasciare la freccia relativamente alla postura (equilibrio).
I test di laboratorio EMG, unitamente al test MVC hanno dimostrato innanzi tutto il grado di simmetria nello sfruttamento dei muscoli dorsali, e l’impiego di muscoli “dormienti” nello stile moderno. Il test con le telecamere cinetiche ha evidenziato gli spostamenti delle articolazioni nelle braccia, del tronco e nella testa durante l’azione del tiro. Le informazioni sui soggetti saranno simultanee e permetteranno di individuare nello stesso istante la variazione dell’equilibrio, il potenziale elettrico nel determinato muscolo e attivazione dei vari distretti e l’atto cinetico corrispondente. L’analisi bibliografica delle pubblicazioni antropologiche sulle analisi sui reperti ossei degli arcieri antichi alto e tardo medievali saranno molto utili per validare i risultati dei test di laboratorio (grado di simmetria nelle usure delle articolazioni e nelle inserzioni dei tendini sulle ossa del tronco).
La semplice osservazione di come si possano tendere archi così forti induce a considerare un miglior sfruttamento del cingolo scapolare e quindi un’ottimizzazione della forza muscolare, argomento utile per porre le basi a una “nuova scuola” adatta anche ai giovani senza differenze di genere.
In questa scuola rinnovata sarà d’obbligo definire una schematizzazione per un processo di apprendimento che tenga in dovuto conto degli aspetti a rischio per la prevenzione di traumi sulle articolazioni, sui muscoli e sui tendini e, contemporaneamente, definire una procedura di potenziamento graduale, parte integrante del progetto per chi si vorrà calare integralmente nell’uso del Warbow (1).
Ciò è avvenuto compiendo una ricerca accurata (fase 1) sulle documentazioni antiche esistenti; ricorrendo in primis allo studio ermeneutico delle iconografie per evidenziare, su base statistica, differenze evidenti di postura tra gli arcieri di ogni genere raffigurati (in battaglia, nei martirii, in caccia e nelle rappresentazioni allegoriche) e quelli d’esempio nelle scuole contemporanee. E’ stata inoltre avviata l’analisi e l’ interpretazione dei rari scritti antichi, a conferma dell’interpretazione delle informazioni visive.
Successivamente (fase 2), attraverso prove di tiro effettuate in laboratorio tra soggetti in grado di tendere l’arco nel “modo antico” (top level) e soggetti di confronto in grado di tendere e scoccare sia in modo antico sia moderno, si è cercato di evidenziare il diverso sfruttamento dei muscoli impiegati nell’atto di tendere e rilasciare la freccia relativamente alla postura (equilibrio).
I test di laboratorio EMG, unitamente al test MVC hanno dimostrato innanzi tutto il grado di simmetria nello sfruttamento dei muscoli dorsali, e l’impiego di muscoli “dormienti” nello stile moderno. Il test con le telecamere cinetiche ha evidenziato gli spostamenti delle articolazioni nelle braccia, del tronco e nella testa durante l’azione del tiro. Le informazioni sui soggetti saranno simultanee e permetteranno di individuare nello stesso istante la variazione dell’equilibrio, il potenziale elettrico nel determinato muscolo e attivazione dei vari distretti e l’atto cinetico corrispondente. L’analisi bibliografica delle pubblicazioni antropologiche sulle analisi sui reperti ossei degli arcieri antichi alto e tardo medievali saranno molto utili per validare i risultati dei test di laboratorio (grado di simmetria nelle usure delle articolazioni e nelle inserzioni dei tendini sulle ossa del tronco).
La semplice osservazione di come si possano tendere archi così forti induce a considerare un miglior sfruttamento del cingolo scapolare e quindi un’ottimizzazione della forza muscolare, argomento utile per porre le basi a una “nuova scuola” adatta anche ai giovani senza differenze di genere.
In questa scuola rinnovata sarà d’obbligo definire una schematizzazione per un processo di apprendimento che tenga in dovuto conto degli aspetti a rischio per la prevenzione di traumi sulle articolazioni, sui muscoli e sui tendini e, contemporaneamente, definire una procedura di potenziamento graduale, parte integrante del progetto per chi si vorrà calare integralmente nell’uso del Warbow (1).
Fase 1: Ricerca esegetica sui testi antichi e interpretazione delle iconografie
I Testi
In Medio Oriente si sviluppa una
bibliografia molto ricca, sia sulla tattica militare che sulla tecnica
di tiro e sull’addestramento. Numerosi trattati (2) sulla tecnica
menzionano gli obiettivi che si devono porre gli arcieri nel loro
apprendimento e addestramento, identificandoli nei quattro “pilastri”
(Arkàn): potenza, velocità, destrezza e precisione. Gli allenamenti sono
codificati nel tempo, l’arciere rappresenta la “summa” delle abilità e
delle virtù guerriere. Nell’Estremo Oriente la Cina influenza la cultura
giapponese dove l’arco raggiunge l’apice della complessità nel Samurai.
La tecnica arriva ad oggi praticamente immutata da 2000 anni, alcune scuole (ad es. la Heki Ryu Insai) ancora applicano ciò che è scritto sui testi di molti secoli fa. Del resto, lo studio biomeccanico a cui faremo riferimento nella fase 2 si riferisce ad un’analisi accurata che rivela similitudini con lo “stile” da noi proposto nel tiro occidentale medievale; entrambi provengono da epoche in cui l’arco e la freccia avevano una loro precisa destinazione, che non era certo fare centro ad un bersaglio immobile.
L’uso dell’arco in guerra è rappresentato quindi da uno spartiacque culturale che allontana l’emisfero occidentale da quello orientale, nel quale diverse sono le visioni dell’arma, e di conseguenza diverse le collocazioni sociali di chi la impugna; in comune vi è solo lo scopo finale e la dinamica fisica del lancio della freccia. Alle radici di questa similitudine vi è il fondamento della tecnica, necessaria per tendere archi forti e colpire efficacemente il bersaglio, abbattendolo. La funzione tattica dell’arciere in Occidente, si esplica soprattutto nel “fuoco d’artiglieria” della nuvola di frecce che colpisce in maniera indifferenziata a distanza la controparte armata mentre questa si scontra in campo aperto, assale il villaggio e le prime fortificazioni. In epoca Bizantina, quando l’impero romano d’Oriente cerca di ripristinare da Costantinopoli i fasti e i poteri della tradizione occidentale ormai compromessa dalle invasioni barbariche, gli arcieri assumono comunque sempre più importanza e sono scritti i primi trattati. Anche se in lingua greca o latina, è evidente l’influsso della cultura e soprattutto della visione militare orientale (3).
Nel Medioevo europeo la caccia assume in Occidente altre valenze, che paradossalmente riaffermano la componente simbolica del cacciatore-leader con i suoi privilegi, anche se con altre vesti culturali a cui corrispondono modi e tecniche diversificate. L’arco permane e si sviluppa “socialmente”, soprattutto in Oriente. È interessante notare come in tutta la cultura medio ed estremo orientale si sia sviluppata, nel corso di un millennio, una così vasta bibliografia che non ha paragone con il progressivo sviluppo “letterario” sull’arcieria d’occidente (4). D’altro canto, la connotazione dell’arciere in guerra (in Europa) pare fosse delle più misere: persone reclutate e addestrate in giovane età tra poveri e analfabeti, contrariamente all’Oriente la cui tradizione, consolidata da millenni di storia, vedeva arcieri nobili e cavalieri o comunque soldati specializzati di cui rango e cultura erano superiori agli altri combattenti meno specializzati. Grazie alla sua grande versatilità, l’arco restò in uso nelle battaglie campali e negli assedi fino a quando la tecnologia delle armi da fuoco divenne maggiormente diffusa. Dal 1300 al 1800 circa, le armi da fuoco convissero con l’arco, poiché l’elevato costo di produzione e l’elevato potere distruttivo delle prime, furono compensati dall’economicità, dalla maggiore maneggevolezza e dalla facilità di addestrare del secondo.
La tecnica dell’arco da guerra scomparve completamente per una specifica versione “da diporto”, raffinatasi nei giorni attuali in parallelo con la tecnologia costruttiva di archi e frecce.
La tecnica arriva ad oggi praticamente immutata da 2000 anni, alcune scuole (ad es. la Heki Ryu Insai) ancora applicano ciò che è scritto sui testi di molti secoli fa. Del resto, lo studio biomeccanico a cui faremo riferimento nella fase 2 si riferisce ad un’analisi accurata che rivela similitudini con lo “stile” da noi proposto nel tiro occidentale medievale; entrambi provengono da epoche in cui l’arco e la freccia avevano una loro precisa destinazione, che non era certo fare centro ad un bersaglio immobile.
L’uso dell’arco in guerra è rappresentato quindi da uno spartiacque culturale che allontana l’emisfero occidentale da quello orientale, nel quale diverse sono le visioni dell’arma, e di conseguenza diverse le collocazioni sociali di chi la impugna; in comune vi è solo lo scopo finale e la dinamica fisica del lancio della freccia. Alle radici di questa similitudine vi è il fondamento della tecnica, necessaria per tendere archi forti e colpire efficacemente il bersaglio, abbattendolo. La funzione tattica dell’arciere in Occidente, si esplica soprattutto nel “fuoco d’artiglieria” della nuvola di frecce che colpisce in maniera indifferenziata a distanza la controparte armata mentre questa si scontra in campo aperto, assale il villaggio e le prime fortificazioni. In epoca Bizantina, quando l’impero romano d’Oriente cerca di ripristinare da Costantinopoli i fasti e i poteri della tradizione occidentale ormai compromessa dalle invasioni barbariche, gli arcieri assumono comunque sempre più importanza e sono scritti i primi trattati. Anche se in lingua greca o latina, è evidente l’influsso della cultura e soprattutto della visione militare orientale (3).
Nel Medioevo europeo la caccia assume in Occidente altre valenze, che paradossalmente riaffermano la componente simbolica del cacciatore-leader con i suoi privilegi, anche se con altre vesti culturali a cui corrispondono modi e tecniche diversificate. L’arco permane e si sviluppa “socialmente”, soprattutto in Oriente. È interessante notare come in tutta la cultura medio ed estremo orientale si sia sviluppata, nel corso di un millennio, una così vasta bibliografia che non ha paragone con il progressivo sviluppo “letterario” sull’arcieria d’occidente (4). D’altro canto, la connotazione dell’arciere in guerra (in Europa) pare fosse delle più misere: persone reclutate e addestrate in giovane età tra poveri e analfabeti, contrariamente all’Oriente la cui tradizione, consolidata da millenni di storia, vedeva arcieri nobili e cavalieri o comunque soldati specializzati di cui rango e cultura erano superiori agli altri combattenti meno specializzati. Grazie alla sua grande versatilità, l’arco restò in uso nelle battaglie campali e negli assedi fino a quando la tecnologia delle armi da fuoco divenne maggiormente diffusa. Dal 1300 al 1800 circa, le armi da fuoco convissero con l’arco, poiché l’elevato costo di produzione e l’elevato potere distruttivo delle prime, furono compensati dall’economicità, dalla maggiore maneggevolezza e dalla facilità di addestrare del secondo.
La tecnica dell’arco da guerra scomparve completamente per una specifica versione “da diporto”, raffinatasi nei giorni attuali in parallelo con la tecnologia costruttiva di archi e frecce.
L’iconografia
Il tiro medievale si faceva con tre dita
(presa mediterranea) per sfruttare al massimo la forza fisica. Tirare
con due dita (presa fiamminga) permette una presa meno solida e
prestazioni inferiori. Talvolta però nei quadri e nei disegni d’epoca si
vedono arcieri in pose da guerra che usano solo 2 dita nell’atto di
tirare con l’arco: probabilmente perché i pittori hanno assistito ad
esibizioni con archi più leggeri, equivocando il gesto reale. La ricerca
è stata effettuata su un campione di 190 immagini di arcieri che
spaziano dal VIII sec. al XVI sec. Per “arcieri” si considerano elementi
validi quelli che stanno caricando l’arco (4%), che stanno effettuando
il rilascio della freccia (23%) e tendendo l’arco con la freccia armata
(74%). Le opere riguardano ambienti di Caccia (9%), Battaglia (70%),
Martirio (8%), Allegorie (7%) e scene di tiro decontestualizzate (4%). I
soggetti si suddividono tra uomini (81%) donne (6%) e mostriciattoli o
animali antropomorfi (13%). La scelta delle immagini è stata operata in
funzione di un parametro essenziale, l’attendibilità
dell’interpretazione artistica desumibile dalla correttezza dei
particolari contenuti (vestiario e accessori in generale e riproduzioni
delle armi in particolare) dando un “coefficiente” da 1 a 3 ad ogni
soggetto del campione. Non è stato valutato, per contro, il rapporto tra
le proporzioni dei soggetti e lo “scenario generale” nonché le distanze
lineari tra soggetti e “bersagli” cercando di estrarre l’essenza
dell’atto che veniva immortalato. La maggior parte delle illustrazioni
di battaglie, ad esempio, è molto esplicativa. Nei dipinti tardo
quattrocenteschi molto spesso viene raffigurato l’ arciere che tende
l’arco composito, di chiara ispirazione medio orientale. D’altro canto è
ben noto di come la cultura bizantina prima, quella delle Crociate e
quell’Ottomana poi abbiano influenzato gli eserciti di mezza Europa. Lo
stile di tiro, la postura ecc. comunque risulta pressoché la medesima.
Essa si suddivide tra postura in fase di rilascio (rilevante per la
parte “A” della ricerca, 23% delle immagini) e posture ove l’arciere è
in fase di trazione (rilevante per la parte “B” della ricerca, 74% delle
immagini). Inoltre sono state analizzate le scarse immagini che
riportano la fase di caricamento, solo 4%.
Fase 2: esperimenti di laboratorio
La fase si è svolta presso il Laboratorio delle Attività Motorie e Sportive (LAMS) della Facoltà di medicina/scienze motorie – Università di Perugia (Direttore prof Andra Biscarini).
Obiettivi della ricerca
Dalle analisi delle antiche iconografie,
dei testi orientali e occidentali e dai ritrovamenti archeologici
appare evidente un modo di tirare con l’arco estraneo ai concetti ora
utilizzati nella didattica e nell’attività sportiva del tiro con l’arco
moderno. Lo stile di tiro antico permetteva di tendere archi
estremamente forti (almeno 3 o 4 volte più forti di quelli odierni) al
fine di fermare il nemico corazzato in battaglia.
Obiettivo principale
Analizzare la catena cinetica dei
soggetti esperti nello stile antico per determinare le differenze con lo
stile moderno e la ripartizione dello sforzo nei muscoli del tronco.
Obiettivi secondari ma altrettanto importanti
Giungere ad una comprensione integrale
delle componenti muscolari, cinetiche e posturali antiche al fine di
proporre una nuova interpretazione dell’uso dell’arco, anche se non
necessariamente di forte carico per elaborare la traccia di una “nuova”
tecnica dedicata di allenamento e potenziamento.
Soggetti coinvolti nella sperimentazione
1) Arcieri esperti, da Italia e Inghilterra, da analizzare nel loro stile antico.
2) Arcieri di medio livello nello stile antico e di discreto livello nello stile moderno, in modo da fungere da “soggetti di controllo”, da analizzare in entrambi gli stili di tiro con archi cui sono normalmente abituati, di basso carico.
2) Arcieri di medio livello nello stile antico e di discreto livello nello stile moderno, in modo da fungere da “soggetti di controllo”, da analizzare in entrambi gli stili di tiro con archi cui sono normalmente abituati, di basso carico.
Strumentazione
a) Pedane dinamometriche per lo studio dell’equilibrio nella postura (interfacciate con gli altri sistemi)
b) 6 Telecamere per la ricostruzione 3D dell’azione dinamica con marker (interfacciate con gli altri sistemi)
c) Apparecchiature per EMG (a disposizione 18 elettrodi) (interfacciate con gli altri sistemi)
d) Telecamera ad alta velocità (1000 Hz, non interfacciabile)
e) Accelerometro (non interfacciabile)
f) Misuratore di velocità per la freccia all’uscita dall’arco
b) 6 Telecamere per la ricostruzione 3D dell’azione dinamica con marker (interfacciate con gli altri sistemi)
c) Apparecchiature per EMG (a disposizione 18 elettrodi) (interfacciate con gli altri sistemi)
d) Telecamera ad alta velocità (1000 Hz, non interfacciabile)
e) Accelerometro (non interfacciabile)
f) Misuratore di velocità per la freccia all’uscita dall’arco
Ipotesi di lavoro
I muscoli presi in esame sono 8 mentre i marker rifrangenti usati sono 15.
La videocamera ad alta velocità ha una frequenza di campionamento di 500 frames al secondo.
Inoltre il suddetto protocollo prevede, per il gruppo di arcieri “medium level” l’uso di 2 archi di cui è standardizzato il carico finale, ovvero archi di diverso libraggio, ma tra di loro non molto scostanti che abbiano lo stesso carico agli allunghi di riferimento (ipotesi carico di 60 lb a 28 pollici di allungo e a 32 pollici di allungo). Per gli arcieri “top level” invece, usare ognuno il proprio arco.
Nello specifico è richiesto l’uso della tecnica di tiro “moderna” e “medievale” per il gruppo “medium level”, mentre per gli arcieri “top level” l’uso della sola tecnica “medievale”.
I test hanno riguardato due aspetti specifici: caricamento dell’arco (A) e rilascio della freccia (B) in entrambe le categorie di soggetti “campione”. Il gruppo 1) si è espresso sullo stile antico, con piccole variazioni personali ma sostanzialmente aventi in comune la fase di tensione, rilascio e postura. Il gruppo 2), avendo la possibilità di interpretare il tiro in due modi, è stato analizzato in termini comparativi, basandosi contemporaneamente sui protocolli adottati nelle pubblicazioni contemporanee riguardanti il tiro olimpico. I tracciati risultanti (EMG e Dinamometrico) differiscono tra loro sostanzialmente. Sono stati preliminarmente esaminati gli archi (diagramma di carico) e le frecce (massa) di tutti i soggetti impiegati nella sperimentazione.
Sia per il punto (A) che per il punto (B) è stata fondamentale l’oggettiva misurazione della lunghezza di trazione. Non potendo utilizzare un moderno “clicker” , sono state considerate quelle frecce scagliate al di sopra di una soglia minima predefinita di velocità, di conseguenza sono state considerate utili al risultato le misurazioni ottenute con la strumentazione biomeccanica nello specifico.
La videocamera ad alta velocità ha una frequenza di campionamento di 500 frames al secondo.
Inoltre il suddetto protocollo prevede, per il gruppo di arcieri “medium level” l’uso di 2 archi di cui è standardizzato il carico finale, ovvero archi di diverso libraggio, ma tra di loro non molto scostanti che abbiano lo stesso carico agli allunghi di riferimento (ipotesi carico di 60 lb a 28 pollici di allungo e a 32 pollici di allungo). Per gli arcieri “top level” invece, usare ognuno il proprio arco.
Nello specifico è richiesto l’uso della tecnica di tiro “moderna” e “medievale” per il gruppo “medium level”, mentre per gli arcieri “top level” l’uso della sola tecnica “medievale”.
I test hanno riguardato due aspetti specifici: caricamento dell’arco (A) e rilascio della freccia (B) in entrambe le categorie di soggetti “campione”. Il gruppo 1) si è espresso sullo stile antico, con piccole variazioni personali ma sostanzialmente aventi in comune la fase di tensione, rilascio e postura. Il gruppo 2), avendo la possibilità di interpretare il tiro in due modi, è stato analizzato in termini comparativi, basandosi contemporaneamente sui protocolli adottati nelle pubblicazioni contemporanee riguardanti il tiro olimpico. I tracciati risultanti (EMG e Dinamometrico) differiscono tra loro sostanzialmente. Sono stati preliminarmente esaminati gli archi (diagramma di carico) e le frecce (massa) di tutti i soggetti impiegati nella sperimentazione.
Sia per il punto (A) che per il punto (B) è stata fondamentale l’oggettiva misurazione della lunghezza di trazione. Non potendo utilizzare un moderno “clicker” , sono state considerate quelle frecce scagliate al di sopra di una soglia minima predefinita di velocità, di conseguenza sono state considerate utili al risultato le misurazioni ottenute con la strumentazione biomeccanica nello specifico.
Bibliografia
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Taybogha, XIV secolo, Mss. Paris 2833, Gunyat al-tullab fi ma’rifat al
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Amodio F., Gallozzi C. 1992. Aspetti fisiologici del tiro con l’arco. Roma: FITARCO Editore;
Anon, Ca. 1515 The Art of Archery, Edited by Henri Gallice, Translation by H. Walrond, 1901.
Ascham, Roger 1545 Toxophilus, The fchole of fhootinghe conteyned in tvvo bookes
Brizzi V., (2007) Man The Hunter, Arcosophia, Greentime Eds
Calvin, W. H.1991, The Ascent of Mind, Backprint.com, Lincoln NE
Casorati G. C. 2002. Storia della moderna arcieria italiana e mondiale. Bologna: Greentime Editore;
Dal Monte A. 1983. La valutazione funzionale dell’atleta. Firenze: G. C. Sansoni Editore;
Faris A. N., Elmer R. P., 1945, Arab archery. An Arabic manuscript of about A.D. 1500, A book on the excellence of the bow and arrow” and the description thereof, (Kitab fi bayan fadl al-qaws w-alsahm) Princeton
Fitz-Rauf, J. 2010, War Archery and Social Status, R.C.A., R.C.Y.
Ford, H. 1859. Archery, its theory and practice, , 2nd Edition,
Hanson, V.D., 2001, L’Arte Occidentale della Guerra, Biblioteca Storica de Il Giornale n.6
Hargrove, E. 1792 Anecdotes of Archery From the earlieft ages to the year 1791
Ibn ‘Ali Al-Tarsusi, 1200 c.a., Tabsirat arbab al-albab… (“Spiegazione per lo spirito sul modo di disporsi durante il combattimento…..”),
Lake, F. H., 1974). A bibliography of archery: an indexed catalogue of 5,000 articles, books, films, manuscripts, periodicals and theses on the use of the bow for hunting, war, and recreation, from the earliest times to the present day. Simon Archery Foundation.
Lamotte A. B., 1968, Contribution à l’étude de l’archerie musulmane, principalement d’après le manuscrit d’Oxford Bodléienne Huntington no 264, Damasco, di furūsiyya di MARDI
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Markham, Gervase 1634 The Art of Archerie
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Lamotte A. B., 1968, Contribution à l’étude de l’archerie musulmane, principalement d’après le manuscrit d’Oxford Bodléienne Huntington no 264, Damasco, di furūsiyya di MARDI
Latham J.D. –Paterson W.F., 1970, Saracen Archery. An English version and exposition of a Mameluke work on archery (ca. A.D. 1368), Londra,
Loi C. 2012, Le corde di lino per archi fra etnografia e sperimentazione archeologica, Tiro con l’Arco Tradizionale, N.1, Target Editore, pp.82-85 6
Markham, Gervase 1634 The Art of Archerie
Moseley, Walter Michael 1792 An Essay on Archery, Describing the Practice of that Art in all Ages and Nations
Mustafa Kani, 1847, Telhis resail errumat (“Compendio dei trattati d’arcieria”), Istanbul.
Roberts, T. 1801 The English Bowman or: Tracts on Archery, to which is added the second part of The Bowmans GloryWaring,
Taylor, M.C. 1947, Bowstring, in Hickman C., Klopsteg.E.C. , Nagler F., Archery, The Technical Side, first edition, NFAA, pp.251-258
Thomas, 1824 A Treatise on Archery or, The Art of Shooting with the Long Bow
Wa-awsafihima. (XIV sec.): Munyatu’l-ghuzat; A 14th Century Mamluk-Kiptchak Military Treatise, tradotto da Kurtulus Öztopçu. (Sources of Oriental Languages and Literatures 13, 1989)
Note
1) Per Warbow si intende genericamente
qualsiasi arco utilizzato per la guerra. Con il progresso delle
protezioni (armature) la “forza” dell’arco da guerra, in qualsiasi
contesto storico, è naturalmente aumentata fino al declino dell’arco e
delle frecce, sostituite dalle armi da fuoco. Warbow, per eccellenza è
il “Longbow” inglese di Tasso del periodo tardomedievale, utilizzato
nella Guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, caratterizzato da
fortissimi carichi e frecce molto pesanti e privo di impugnatura ben
delineata. In modo molto approssimativo ogni reperto archeologico
fedelmente riprodotto e sottoposto a verifica sperimentale il cui carico
risulti superiore a 80-90 libbre può essere considerato “Warbow”. Oggi,
per “Longbow” si intende invece convenzionalmente un arco dritto (senza
ricurve) lungo più di 64 pollici, anche se in legno rivestito in fibra
di vetro, con l’impugnatura rigida, difficilmente superiore a 60 libbre.
Niente a che vedere, dunque, con il Longbow antico, e a maggior ragione
con il Warbow.
2) Sebbene allo stato attuale non esista una catalogazione esaustiva di tutti i trattati di arcieria del vicino e Medio Oriente, è possibile dare un’idea della sterminata produzione al riguardo con alcuni dati. La “Bibliography of Archery” di Lake e Wright sostiene che attualmente sono pervenuti a noi 95 manoscritti di trattati di arcieria – tra arabi, persiani, turchi – , senza contare le varie copie reinterpretate dello stesso trattato da parte di altre scuole. Questa cifra quasi sicuramente non è esaustiva e altre testimonianze attendono probabilmente di essere riscoperte. A questi trattati specifici, inoltre andrebbero aggiunti i capitoli riguardanti l’arcieria contenuti in testi più generali di carattere militare o cinegetico. Tra i più importanti (tra cui quelli tradotti e commentati) citiamo: Al-Asrafi (…)XIV sec; Gunyat al-tullab (…) 1464; Ibn ‘Ali Al-Tarsusi 1200; Faris & Elmer 1945; Wa-awsafihima. (XIV sec.); Mustafa Kani, 1847; Latham & Paterson 1970, Lamotte 1968.
3) Flavio Renato Vegezio, IV e V secolo: De Re Militari; Anonimo: IV e V secolo De Rebus Bellicis; Giulio Africano Kestoi metà III secolo (→Peri Toxeias); Anonimo bizantino, seconda metà VI secolo: Peri Strategikon (→ Peri Toxeias); Procopio di Cesarea, seconda metà VI secolo: De Bello Persico; Pseudo Maurizio, seconda metà VI secolo: Strategikon; Leone IV imperatore, fine nono secolo: Taktika.
4) Anon. Ca. 1515; Ascham, 1545; Markham, 1634; Moseley, 1792; Hargrove, 1792; Roberts, 1824.
da: http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/
per le immagini vai qui, a fine testo:
http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/
Marco Dubini
2) Sebbene allo stato attuale non esista una catalogazione esaustiva di tutti i trattati di arcieria del vicino e Medio Oriente, è possibile dare un’idea della sterminata produzione al riguardo con alcuni dati. La “Bibliography of Archery” di Lake e Wright sostiene che attualmente sono pervenuti a noi 95 manoscritti di trattati di arcieria – tra arabi, persiani, turchi – , senza contare le varie copie reinterpretate dello stesso trattato da parte di altre scuole. Questa cifra quasi sicuramente non è esaustiva e altre testimonianze attendono probabilmente di essere riscoperte. A questi trattati specifici, inoltre andrebbero aggiunti i capitoli riguardanti l’arcieria contenuti in testi più generali di carattere militare o cinegetico. Tra i più importanti (tra cui quelli tradotti e commentati) citiamo: Al-Asrafi (…)XIV sec; Gunyat al-tullab (…) 1464; Ibn ‘Ali Al-Tarsusi 1200; Faris & Elmer 1945; Wa-awsafihima. (XIV sec.); Mustafa Kani, 1847; Latham & Paterson 1970, Lamotte 1968.
3) Flavio Renato Vegezio, IV e V secolo: De Re Militari; Anonimo: IV e V secolo De Rebus Bellicis; Giulio Africano Kestoi metà III secolo (→Peri Toxeias); Anonimo bizantino, seconda metà VI secolo: Peri Strategikon (→ Peri Toxeias); Procopio di Cesarea, seconda metà VI secolo: De Bello Persico; Pseudo Maurizio, seconda metà VI secolo: Strategikon; Leone IV imperatore, fine nono secolo: Taktika.
4) Anon. Ca. 1515; Ascham, 1545; Markham, 1634; Moseley, 1792; Hargrove, 1792; Roberts, 1824.
da: http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/
per le immagini vai qui, a fine testo:
http://www.italiamedievale.org/portale/larco-guerra-nel-medioevo-progetto-mba/
Marco Dubini
mercoledì 13 aprile 2016
CALENDARIO EVENTI E INIZIATIVE PER IL 2016
PASSATI:
a) 16 gennaio, Cascina Nosedo (MI), Via San Dionigi 70 (di fronte al Nocetum) ore 18, falò di Sant'Antonio, acceso con frecce incendiarie
b) 24 gennaio, Angera (VA) Torneo di San Sebastiano
c) da gennaio a maggio: Medioevo a scuola...... a scuola di medioevo, nelle scuole medie della provincia di Como (vedi:http://newscompagniabianca.blogspot.it/…/medioevo-scuolaa-s…)
Date e scuole:
13/2: scuola media De Amicis di Lomazzo
a) 16 gennaio, Cascina Nosedo (MI), Via San Dionigi 70 (di fronte al Nocetum) ore 18, falò di Sant'Antonio, acceso con frecce incendiarie
b) 24 gennaio, Angera (VA) Torneo di San Sebastiano
c) da gennaio a maggio: Medioevo a scuola...... a scuola di medioevo, nelle scuole medie della provincia di Como (vedi:http://newscompagniabianca.blogspot.it/…/medioevo-scuolaa-s…)
Date e scuole:
13/2: scuola media De Amicis di Lomazzo
20/2: scuola media Anna Frank di Guanzate
19/3: scuola media di Vertemate con Minoprio
9/4: scuola media Foscolo di Como
per le immagini vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2016/04/medioevo-scuola-scuola-di-medioevo.html
19/3: scuola media di Vertemate con Minoprio
9/4: scuola media Foscolo di Como
per le immagini vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2016/04/medioevo-scuola-scuola-di-medioevo.html
d) domenica 17 aprile, ore 9-19, corso di costruzione arco bastone, con Gionata Brovelli, vedi:
https://www.facebook.com/events/1660840200800056/
Per le immagini del corso del 2015, vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html
Per le immagini del corso del 2015, vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html
e) 7, 8 e 9/5: castello del Baradello (CO), campo di tiro e accampamento, vedi:
http://compagniabianca.blogspot.it/2016/05/tre-giornate-con-le-scuole-e-col.html
f) 28 (e 29) maggio: sotto le mura medievali di Como, Como città Medievale, accampamento e campo di tiro
g) 26 giugno, Lentate sul Seveso (MB), Rievocazione medievale, Villa Cenacolo. Accampamento con gli amici della Gualdana del Seprio, campo di tiro e banco didattico arcieria storica
h) 17 e 18 settembre, Medioevo alla cascina Nosedo (EVENTO ANNULLATO)
g) 26 giugno, Lentate sul Seveso (MB), Rievocazione medievale, Villa Cenacolo. Accampamento con gli amici della Gualdana del Seprio, campo di tiro e banco didattico arcieria storica
h) 17 e 18 settembre, Medioevo alla cascina Nosedo (EVENTO ANNULLATO)
domenica 6 marzo 2016
RESTYLING DEL NOSTRO SITO
Abbiamo reso più navigabile il nostro sito: http://www.compagniabianca.it/indice.asp
Dategli un'occhiata e mandate suggerimenti per ulteriori migliorie.
Abbiamo arricchito l'area Contributi con numerosi lavori dell'amico Gionata Brovelli (vedi: http://www.compagniabianca.it/contributi.asp)
Abbiamo messo a punto l'area immagini (vedi: http://www.compagniabianca.it/immagini.asp)
Ma dove ci siamo superati è nell'area giochi (vedi: http://www.compagniabianca.it/giochi.asp)
Navigare per credere...
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Abbiamo arricchito l'area Contributi con numerosi lavori dell'amico Gionata Brovelli (vedi: http://www.compagniabianca.it/contributi.asp)
Abbiamo messo a punto l'area immagini (vedi: http://www.compagniabianca.it/immagini.asp)
Ma dove ci siamo superati è nell'area giochi (vedi: http://www.compagniabianca.it/giochi.asp)
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lunedì 29 febbraio 2016
LE CONFERENZE DELLA COMPAGNIA BIANCA
Siamo in grado tenere le seguenti conferenze:
1) L’arco nella storia
2) Archi e balestre nel Medioevo
3) Macchine da guerra e guerra d’assedio nel medioevo
con banco didattico arcieria storica, un arciere e un balestriere militari medievali in abito con attrezzatura di tiro e protezioni metalliche; zona Pianura padana, XII-XIII secolo
inoltre:
4) Alimentazione medievale, con banco alimentare
5) Storia del costume medievale, con figurante
La durata di ogni singola conferenza va da una a due ore in rapporto alle esigenze dell'organizzatore. L’illustrazione degli argomenti avverrà sia tramite la proiezione di immagini in Power Point, sia tramite figuranti in abito medievale
È possibile anche avere la presenza sia di un frate francescano che distribuisce e descrive una bevanda tipica medievale (l’ippocrasso) che di una dama, popolana o nobile.
per informazioni info@compagniabianca.it
per le immagini delle conferenze già tenute: http://compagniabianca.blogspot.it/…/le-tre-conferenze-tenu…
3) Macchine da guerra e guerra d’assedio nel medioevo
con banco didattico arcieria storica, un arciere e un balestriere militari medievali in abito con attrezzatura di tiro e protezioni metalliche; zona Pianura padana, XII-XIII secolo
inoltre:
4) Alimentazione medievale, con banco alimentare
5) Storia del costume medievale, con figurante
La durata di ogni singola conferenza va da una a due ore in rapporto alle esigenze dell'organizzatore. L’illustrazione degli argomenti avverrà sia tramite la proiezione di immagini in Power Point, sia tramite figuranti in abito medievale
È possibile anche avere la presenza sia di un frate francescano che distribuisce e descrive una bevanda tipica medievale (l’ippocrasso) che di una dama, popolana o nobile.
per informazioni info@compagniabianca.it
per le immagini delle conferenze già tenute: http://compagniabianca.blogspot.it/…/le-tre-conferenze-tenu…
lunedì 15 febbraio 2016
RIPRENDONO I CORSI DI TIRO CON L'ARCO IN LEGNO
Sabato 27 febbraio, ore 10-13, seconda lezione del III corso 2015/16 (meteo permettendo).
Ancora un posto disponibile.
Ancora un posto disponibile.
Queste le modalità:
1) quattro lezioni di tre ore ciascuna, da tenersi il sabato o la domenica o, previo accordo, in altre giornate
2) arco, frecce, parabraccio e bersaglio sono a cura dell’istruttore
3) alle lezioni possono partecipare non più di tre allievi per corso
4) per iscriversi basta mandare una mail a info@compagniabianca.it indicando il nome e il numero di telefono. Sarete contattati personalmente dall’ istruttore
Per le immagini dei corsi precedenti, vai qui:
http://compagniabianca.blogspot.it/search/label/CORSI%20DI%20TIRO%20CON%20L%27ARCO%20IN%20LEGNO%20E%20ADDESTRAMENTI%20AL%20CAMPO%20DI%20TIRO
La Compagnia Bianca di Milano - Arcieri medievali militari
Sito Internet: www.compagniabianca.it
Blog visuale: http://compagniabianca.blogspot.it/
1) quattro lezioni di tre ore ciascuna, da tenersi il sabato o la domenica o, previo accordo, in altre giornate
2) arco, frecce, parabraccio e bersaglio sono a cura dell’istruttore
3) alle lezioni possono partecipare non più di tre allievi per corso
4) per iscriversi basta mandare una mail a info@compagniabianca.it indicando il nome e il numero di telefono. Sarete contattati personalmente dall’ istruttore
Per le immagini dei corsi precedenti, vai qui:
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La Compagnia Bianca di Milano - Arcieri medievali militari
Sito Internet: www.compagniabianca.it
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domenica 14 febbraio 2016
CORSO DI COSTRUZIONE ARCO BASTONE - 17/4/2016
- clockdalle ore 9:00 alle ore 19:00
- pinpresso Associazione
Nocetum, Via San Dionigi, 77, Milano
Il corso ha la finalità di fornire tutte le informazioni di base necessarie per poter costruire un vero arco “storico” di legno basandosi sullo studio dei reperti di archi medievali giunti fino a noi.
Il corso sarà strutturato in due sezioni. Nella prima verranno presentati i reperti degli archi semplici di legno ritrovati in Europa e risalenti al periodo compreso tra il I e il XVI secolo d.C.
Nella seconda verranno fornite le informazioni per la costruzione di arco e frecce.
Verranno quindi affrontati i seguenti argomenti:
a) scelta del materiale
b) “interpretazione” della doga
c) stagionatura
d) problemi riscontrabili
e) scelta e tecniche di utilizzo degli attrezzi
g) fasi della lavorazione
h) test e tecniche di tiro
i) costruzione di frecce storiche
l) reperimento materiali
m) colle naturali
n) realizzazione di semplici punte storiche
o) realizzazione degli impennaggi
Si tratta quindi di un corso pensato per chi non si accontenta di costruire un qualsiasi arco di legno funzionante ma un arco realizzato con le stesse caratteristiche e filosofia di costruzione di quelli utilizzati dai nostri predecessori medievali.
I posti sono limitati (20), le iscrizioni si chiudono al raggiungimento del numero indicato. Per informazioni scrivere a info@compagniabianca.it
Per le immagini del corso dell'anno scorso vai qui:
http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html
Il corso sarà strutturato in due sezioni. Nella prima verranno presentati i reperti degli archi semplici di legno ritrovati in Europa e risalenti al periodo compreso tra il I e il XVI secolo d.C.
Nella seconda verranno fornite le informazioni per la costruzione di arco e frecce.
Verranno quindi affrontati i seguenti argomenti:
a) scelta del materiale
b) “interpretazione” della doga
c) stagionatura
d) problemi riscontrabili
e) scelta e tecniche di utilizzo degli attrezzi
g) fasi della lavorazione
h) test e tecniche di tiro
i) costruzione di frecce storiche
l) reperimento materiali
m) colle naturali
n) realizzazione di semplici punte storiche
o) realizzazione degli impennaggi
Si tratta quindi di un corso pensato per chi non si accontenta di costruire un qualsiasi arco di legno funzionante ma un arco realizzato con le stesse caratteristiche e filosofia di costruzione di quelli utilizzati dai nostri predecessori medievali.
I posti sono limitati (20), le iscrizioni si chiudono al raggiungimento del numero indicato. Per informazioni scrivere a info@compagniabianca.it
Per le immagini del corso dell'anno scorso vai qui:
http://compagniabianca.blogspot.it/2015/04/le-immagini-del-corso-di-costruzione.html
mercoledì 3 febbraio 2016
Candidati al PREMIO ITALIA MEDIEVALE 2016
La Compagnia Bianca di Milano, arcieri militari medievali, è candidata al
PREMIO ITALIA MEDIEVALE 2016, nella categoria D, Gruppi storici (Associazioni, gruppi d'arme, gruppi storici)
Votateci e fateci votare.
Per le informazioni sul Premio e per votare, vai qui: http://www.italiamedievale.org/portale/premio-italia-medievale/
Si può votare anche inviando una mail a info@italiamedievale.org, con un SMS al 333/5818049, un fax o una telefonata al 02/45329840.
PREMIO ITALIA MEDIEVALE 2016, nella categoria D, Gruppi storici (Associazioni, gruppi d'arme, gruppi storici)
Votateci e fateci votare.
Per le informazioni sul Premio e per votare, vai qui: http://www.italiamedievale.org/portale/premio-italia-medievale/
Si può votare anche inviando una mail a info@italiamedievale.org, con un SMS al 333/5818049, un fax o una telefonata al 02/45329840.
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